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Perché la strada di Trump è in salita

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Donald Trump è frustrato per la sua incapacità di bloccare l’entrata di nuovi immigrati negli Stati Uniti. Nel solo mese di marzo oltre 100mila persone sono state fermate cercando di oltrepassare il confine sud del Paese. Si tratta di un forte aumento rispetto agli ultimi anni, e il sistema americano non è in grado di gestire tutte le pratiche. Non si possono respingere subito persone che chiedono asilo, e – come in Italia – alcuni di questi finiscono semplicemente per rimanere nel Paese come illegali.

Per i democratici, il problema più grosso è come l’amministrazione tratta chi arriva, vista la linea dura applicata l’anno scorso, quando i bambini venivano separati dalle proprie famiglie. Per il presidente, invece, si tratta di un “muro” politico: per quanto alzi la voce e chieda misure più restrittive, gli immigrati continuano ad arrivare. Che sia oggettivamente un’emergenza o meno, Trump sa che non riuscire a mantenere le proprie promesse potrebbe costargli caro politicamente, con la campagna elettorale del 2020 che si avvicina rapidamente.

La risposta di Trump a questa frustrazione, è stata di chiedere le dimissioni della segretaria per la sicurezza interna Kirstjen Nielson, nella speranza di trovare un sostituto più efficace; come ha già fatto con la sostituzione di diversi ministri e alti funzionari nei primi anni del suo mandato. Tuttavia è poco probabile che basterà un cambio di personale di fronte ad un problema strutturale di questo tipo. Il muro con il Messico avrebbe un forte significato simbolico, e forse anche qualche effetto pratico, ma il Congresso non è disposto a stanziare i soldi, e molti esperti insistono che ci sarebbero altre misure decisamente più efficienti per ridurre il flusso di migranti.

E mentre per lo zoccolo duro di sostegno che mantiene il presidente, circa il 42-43% nei sondaggi, il tema immigrazione è importante, le elezioni mid-term hanno dimostrato che l’allarmismo e le misure dimostrative su questo punto possono anche rivelarsi controproducenti quando si cercano voti al di fuori della propria area.

Infatti “l’ondata blu” dei democratici a novembre – non a livelli storici ma comunque presente – si è prodotta principalmente perché i candidati si sono concentrati sui pocketbook issues, le questioni di portafoglio, a partire dai costi delle cure sanitarie. A sinistra nei mesi successivi il dibattito si è spostato nettamente sul terreno prescelto dai progressisti: buona parte degli aspiranti candidati alla Casa Bianca sostengono proposte forti per aumentare la componente pubblica nella sanità, per alzare il salario minimo, e per ridurre i costi dell’università. Nel 2020 Trump potrà vantarsi di un’economia che è cresciuta, di più lavori nella manifattura, e di salari che hanno cominciato ad aumentare (seppur da poco tempo, correggendo per l’inflazione). Ma i problemi delle disuguaglianze, e le difficoltà per la classe media, sono ancora ben presenti. Ed è poco probabile che troverà un avversario così facile da criticare per le posizioni “globaliste” dell’establishment com’era Hillary Clinton.

È vero che ad oggi c’è grande incertezza sul lato democratico, con quasi 20 candidati che hanno già annunciato l’intenzione di candidarsi o che stanno apertamente testando le acque. Ma sarebbe prematuro pensare che questa situazione conferisca a Trump un grande vantaggio in partenza. La sua vittoria del 2016 è stata una tempesta perfetta, che non sarà facile replicare. I democratici sono certamente capaci di farsi male da soli, ma se uscirà un candidato che affronti in modo efficace il disagio economico, Trump avrà vita più difficile, e dovrà sperare nei fattori esterni, come eventi improvvisi (che spesso condizionano le campagne elettorali) o il successo di candidati terzi che riescono a togliere voti dall’altro contendente.

Ad oggi la posizione interna del presidente è stabile, ma non particolarmente forte. Trump non può permettersi di perdere l’entusiasmo della sua base, e lo sa. Per questo insiste sulla questione immigrazione. Guardando in avanti, però, il presidente avrà bisogno di qualcosa in più. Con la Camera controllata dai democratici i suoi margini a livello interno sono ristretti, e la strada si fa in salita.



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