A sabotare le navi davanti al grande hub petrolifero di Fujairah, negli Emirati Arabi, è stato “quasi certamente l’Iran”: è questo il saluto riservato agli alleati locali dal consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, che ieri è atterrato ad Abu Dhabi per una visita speciale.
BOLTON E GLI ALLEATI
Il viaggio di Bolton anticipa di due giorni l’inizio del vertice che l’Arabia Saudita (e gli emiratini) hanno convocato tra i paesi della Lega Araba e del Consiglio di cooperazione del Golfo per fare il punto sulla situazione dopo che nel Medio Oriente s’è innescata una crisi delicatissima. Gli Stati Uniti hanno aumentato il livello di presenza militare, perché da settimane ritengono – sulla base di informazioni di intelligence – che sia concreta e imminente la possibilità di un attacco contro i propri interessi da parte dell’Iran, e/o delle forze proxy regionali collegate a Teheran, come rappresaglia per la postura dura presa da Washington contro la Repubblica islamica.
BOLTON E TRUMP
Bolton è uno degli artefici di questa posizione aggressiva. È considerato uno dei falchi interventisti dell’amministrazione Trump, e dalla posizione di forza che occupa – gestisce le policy della Casa Bianca su Esteri e Sicurezza (un mondo, ndr) – esercita pressioni a favore della sua linea. I media americani da settimane sono puntuali nel descrivere scricchiolii nei rapporti tra il presidente Donald Trump e il suo primo consigliere. Si parla di una relazione personale non oleata (che all’interno della presidenza Trump non è un buon indice) e di un Trump che pubblicamente (a Mar a Lago, suo buen retiro) si è lamentato del lavoro di Bolton, perché gli darebbe consigli che lo stanno portando “in una strada che non vuol percorrere”, scrive in un pezzo di retroscena (informato) il New York Times. È stato Bolton ad aver gestito questa fase di rafforzamento militare anti-Iran, è lui a tenere alta la tensione nei contatti con gli alleati, per esempio, mentre Trump – due giorni fa, dal Giappone – ha ribadito di non essere interessato a fare la guerra e non volere un regime change a Teheran (“Ha la possibilità di essere un grande paese con la stessa leadership”, ha detto Trump).
LE ACCUSE
Dagli Emirati, Bolton ha anche dichiarato che un paio di giorni prima dell’operazione a Fujairah c’era stato un tentativo di attacco nei pressi del porto di Yanbu, in Arabia Saudita, lungo la costa del Mar Rosso. I funzionari sauditi sono stati cercati dalla Reuters per ricevere un commento su questa dichiarazione, ma non hanno risposto. Riad – a differenza degli Emirati Arabi, che non hanno mai accusato formalmente nessuno – ha già incolpato l’Iran per aver ordinato alcuni attacchi con cui i ribelli yemeniti Houthi hanno colpito con droni kamikaze degli oleodotti. Gli Houthi sono accusati da Riad e Abu Dhabi di agire per conto di Teheran, sfruttati dall’Iran per destabilizzare la regione (in particolare lo Yemen, che i sauditi considerano come un cortile casalingo), ma i rapporti tra ribelli e iraniani sono più sfumati e non esattamente diretti.
L’ALTRA VISITA MEDIORIENTALE DEGLI USA
In questi giorni arriverà in Medio Oriente (Giordania e Gerusalemme, dal Marocco) anche un’altra delegazione americana guidata da Jared Kushner, il genero/consigliere a cui Trump ha affidato il dossier israelo-palestinese. Kushner è anche il più importante elemento di contatto tra Washington e i sovrani sauditi ed emiratini, con cui condivide la visione futuristica generazionale. Tendenzialmente Kushner porta con sé una lettura meno aggressive e più trumpiana (ossia negoziale) delle situazioni. Con lui viaggerà il delegato del dipartimento di Stato per gestire la crisi iraniana, Brian Hook.
UN DOSSIER COMPLESSO
Lo scontro con l’Iran resta un argomento importante per l’amministrazione anche perché si allarga e copre altri dossier. Ieri il dipartimento di Stato ha messo in guardia Hong Kong perché potrebbe finire sotto sanzioni se decidesse di fare affari con la “Pacific Bravo”, cargo di proprietà della banca cinese Bank of Kunlun, che starebbe arrivando verso le coste della città trasportando un carico di petrolio iraniano. Bank of Kunlun è stato uno dei rubinetti finanziari per le transazioni cinesi con l’Iran, che gli Stati Uniti hanno pianificato di troncare alzando le sanzioni sull’importazione di greggio iraniano anche a paesi come la Cina che prima erano sotto una speciale, temporanea esenzione. Pechino e Washington sono in una fase di scontro globale: i primi sostengono la necessità di tener vivo l’accordo sul nucleare del 2014, anche per ripristinare l’intera capacità operative iraniana sul settore energetico (di cui i cinesi sono clienti); Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti da quell’accordo e ora pensa di pressare l’Iran non per decapitare il regime ma per portarlo di nuovo al tavolo per ri-negoziare.
(Foto: Twitter, @AmbJohnBolton)