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Non solo Huawei. Quali sono i colossi cinesi della videosorveglianza nel mirino degli Usa

Erdogan, Putin

Non solo Huawei o, la sua ‘gemella’ Zte, che proprio ieri ha inaugurato a Roma un hub europeo per la cyber security. Nello scontro tecnologico ormai globale tra Washington e Pechino, nel mirino dell’amministrazione Trump entrano ora anche colossi cinesi di prodotti di videosorveglianza come Hikvision, che potrebbe a breve subire le stesse limitazioni imposte ad altre imprese della Repubblica Popolare, sospettate di costituire un potenziale veicolo di spionaggio a beneficio della madrepatria.

IL CASO HIKVISION

Come per la telco di Shenzhen, il governo americano, spiega il New York Times, starebbe considerando l’ipotesi di impedire a Hikvision (che ha fornito prodotti in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008 e dei Mondiali di calcio in Brasile del 2014, e tra i suoi clienti conta anche l’aeroporto di Linate, a Milano) di comprare tecnologia americana utilizzabile per dispositivi di riconoscimento facciale. Questo impiego particolare, si evidenzia, oltre alle ripercussioni in ambito di sicurezza potrebbe ulteriormente contribuire allo svolgimento di un controllo domestico che starebbe da tempo determinando violazioni dei diritti umani, ad esempio nei confronti di minoranze come gli uiguri nella regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang (attività che, si legge sul Global Times, Hikvision ha dichiarato di non avere mai condotto).

LE ALTRE AZIENDE

In verità la portata del ‘ban’ dei colossi tecnologici cinesi sarebbe ancora più ampia. Washington – riporta Bloomberg, che ha sentito fonti al corrente della questione – avrebbe puntato in totale cinque aziende, tra le quali comparirebbe anche un altro colosso della videosorveglianza, Dahua.

GLI EFFETTI

Queste mosse – alle quali Pechino potrebbe presto rispondere, forse con una limitazione delle esportazioni verso gli Usa di terre rare e con misure analoghe nei confronti di imprese americane – rischiano comunque di avere forti ripercussioni sulle aziende cinesi.

Per farsi un’idea – spiega la Bbc – basta guardare ad esempio da vicino la complessità della supply chain delle singole componenti di un prodotto Huawei, le quali sono prodotte da numerose altre aziende – oltre 30 – che stanno per subire l’onda d’urto del divieto statunitense, che ha spinto Google ad annunciare il taglio dei legami con la compagnia di Shenzhen, al quale non fornirà più il suo sistema operativo mobile Android installato sulla maggior parte degli smartphone del mondo.

Ma Mountain View non è la sola. Anche altre aziende Usa produttrici di chip e microchip – da Intel a Qualcomm, da Xilinx a Broadcom – si sono adeguate alla linea dettata dall’amministrazione, annunciando di dover congelare le forniture destinate al colosso tecnologico cinese. Il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha emesso una licenza temporanea di 90 giorni che ha consentito ad alcune aziende di continuare a supportare reti e dispositivi Huawei, ma non è chiaro che cosa accadrà dopo, mentre è entrata nel vivo la battaglia per lo sviluppo di una tecnologia strategica (e sensibile) come il 5G.

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