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I dati sensibili italiani? Non a compagnie cinesi, parola di Tajani

I dati sensibili? Non andrebbero affidati a Huawei o ad altre società cinesi. Il rischio è quello di perdere sovranità e limitare la sicurezza. A una manciata di giorni dal voto per rinnovare il parlamento di Strasburgo, il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha ribadito la linea forzista – più volte ribadita in questi mesi dal leader degli azzurri Silvio Berlusconi – di chiusura rispetto ai progetti espansionistici di Pechino criticati a più riprese da Washington.

LO SCENARIO

In Italia l’attuale esecutivo non ha chiuso le porte alla Repubblica Popolare, anzi, gliele ha aperte aderendo come primo e finora unico Paese del G7 alla Via della Seta. E, soprattutto nel Movimento 5 Stelle (più tiepido Salvini, anche se Michele Geraci, il sottosegretario al Mise fautore di un legame più stretto con la Cina, è in quota Lega), non si perde occasione per manifestare vicinanza ai colossi tecnologici cinesi. Ad esempio è accaduto al Huawei Summit alla Camera, al quale presero parte il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio e la sindaca di Roma Virginia Raggi, che in seguito ha anche aperto alla possibilità di ricevere dalla telco di Shenzhen delle telecamere ‘smart’ per la videosorveglianza. Ed è successo ieri, quando un esponente del governo, il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, ha tenuto, sempre nella Capitale, un discorso all’inaugurazione dell’hub europeo sulla cyber security di un altro dei giganti di Pechino, la statale Zte.

LE PAROLE DI TAJANI

Oggi invece Tajani, parlando con i giornalisti al termine di una conferenza stampa per presentare punti per aumentare sicurezza a Roma, si è detto nettamente contrario a un coinvolgimento delle aziende cinesi nell’implementazione della rete 5G nazionale. “Non darei informazioni a una società cinese” ha spiegato, “perché sono troppo importanti. Sono come i lingotti d’oro della Banca d’Italia. Rischiamo di cedere spazi di sovranità: i cinesi già vogliono prendersi i porti, non è il caso di concedere anche dati sensibili sul piano della sicurezza”.

LA POSIZIONE ITALIANA

Per quanto riguarda il 5G (sul quale ha recentemente accesso i riflettori anche il Garante Privacy), Roma ha finora deciso di non escludere a priori le aziende della Repubblica popolare cinese.
Più di un mese fa, attraverso una nota del ministero dello Sviluppo economico, è stata smentita l’intenzione di precludere alle aziende cinesi (la cui presenza è da tempo, ha raccontato Formiche.net, all’attenzione dei servizi segreti e del Copasir) lo sviluppo della nuova tecnologia in Italia. Il governo ha poi proceduto all’istituzione di un nuovo Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) presso l’Iscti del Mise, e all’estensione del Golden power – la normativa sulle prerogative ‘speciali’ che lo Stato può usare a difesa degli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica in ambiti come l’energia, i trasporti e le comunicazioni – allargata alla stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi” delle reti 5G, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea. Mitigare i rischi, però, ha evidenziato Robert Strayer, il più alto funzionario cyber del Dipartimento di Stato americano, potrebbe essere difficile.

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