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La sfida dell’e-commerce e il ritardo delle imprese italiane. La fotografia di Davide Casaleggio

Quando si parla di commercio, non ci annoia mai. Soprattutto in questi tempi in cui la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti (ma non solo) ha ricordato al mondo intero che ci sono regole globali ancora da scrivere o forse da riscrivere. Nell’attesa di individuare il nuovo baricentro del commercio mondiale c’è una parolina magica che da almeno 20 anni, erano i tempi della new economy di fine anni 90, non deve essere mai e poi mai dimenticata: e-commerce. Si sbaglia chi pensa solo ad Alibaba o Amazon. L’universo dello shopping online è molto più variopinto e sono tanti i player di mercato che lo popolano.

Con ogni probabilità il più grande stravolgimento commerciale-sociale dai tempi della rivoluzione industriale di metà 700. Qualcosa in grado di spostare nel giro di due decadi centinaia di miliardi di fatturato e milioni di posti di lavoro. Ogni anno la Casaleggio Associati, presieduta da Davide Casaleggio, delinea i nuovi contorni di questo enorme business, attravero il rapporto e-commerce in Italia. La cui edizione 2019 (la tredicesima in ordine temporale, qui il documento integrale) è stata presentata questa mattina alla Luiss, nella cornice dell’aula magna, alla presenza dei protagonisti della lunga stagione del commercio elettronico, che nel tempo ha impregnato pezzi importanti di vita quotidiana: dal cibo, ai trasporti, passando per i pagamenti, i viaggi e il tempo libero.

I NUMERI DI UNA RIVOLUZIONE

La cifra l’ha data Maurizio Benzi, partner della Casaleggio Associati quando, aprendo i lavori, ha fornito alla platea accorsa alla Luiss un dato. Lo scorso anno il 40% della popolazione mondiale ha effettuato almeno un acquisto online. Questo per dare un’idea del fenomeno. Poi la parola è passata allo stesso Casaleggio che ha spiegato il contenuto delle quasi 80 pagine che compongono il rapporto 2019. Ebbene, il valore dell’e-commerce al dettaglio nel mondo per il 2018 è stimato in 2.875 miliardi di dollari, il 12% in più rispetto all’anno precedente e pari all’11% del totale del valore delle vendite retail.

L’area Asia-Pacifico conferma la sua leadership sul mercato e-commerce mondiale, con una produzione di 1.892 miliardi di dollari nel 2018, il 27% in più rispetto all’anno precedente. La sola Cina, con un miliardo di utenti digital commerce, nel 2018 ha prodotto un transato di 855 miliardi di dollari, con una crescita del 19% rispetto all’anno precedentee. Per il 2019 si stima una crescita dell’e-commerce diretto del 30,3% che andrà ad incidere fino al 35% sul totale vendite retail. E l’Europa? Anche il Vecchio Continente, a dispetto del suo appellativo, sembra puntare dritto sul futuro. In Europa, ha spiegato Casaleggio, il 79,6% della popolazione accede ad internet ed è il Continente con la più alta penetrazione. Anche per questo il 69% degli internet users ha effettuato un acquisto online nel corso del 2018, con un incremento dell’1% rispetto all’anno precedente. Le vendite online al dettaglio ammontano a 313 miliardi di euro, contro i 285 dell’anno precedente, con un incremento del 9%. Per il 2019 è poi prevista una produzione di 342 miliardi di euro e, secondo le stime, l’Europa occidentale dei 5 (Francia, Germania, Italia, Spagna e Uk) entro il 2022 sorpasserà quota 400 miliardi di dollari di vendite e-commerce dirette.

L’E-COMMERCE IN ITALIA

L’Italia, un po’ per tradizione un po’ per suo cronico ritardo nel cogliere certe sfide, sta avanzando nell’e-commerce, ma sempre un passo indietro ai suoi partner europeiIl valore del fatturato e-commerce in Italia nel 2018 è stimato in 41,5 miliardi di euro, con una crescita del 18% sul 2017, si legge nel rapporto presentato da Casaleggio. I consumatori online sono circa 38 milioni, ovvero il 62% della popolazione e si prevede che entro il 2023 raggiungeranno quota 41 milioni. Ma nonostante la crescita registrata negli anni, la percentuale di popolazione che acquista online è più bassa rispetto agli altri Paesi europei (ad esempio è del 93% in UK, 91% Paesi Nordici e Paesi Bassi, 88% Germania, 84% Francia e Spagna e 71% Polonia). In Italia lo smartphone viene utilizzato dagli shopper online molto di più che nel resto d’Europa.

LE IMPRESE DINNANZI ALL’E-COMMERCE

Naturalmente un dibattito sull’e-commerce non poteva non tenere conto delle imprese che, volenti o nolenti, sono il fronte più esposto a questo cambiamento. Per questo erano presenti alcuni dei manager alla guida di aziende che sono il prodotto dell’e-commerce. Da Barbara Covili (MyTaxi), ad Andrea Incondi (FlixBus) passando per Matteo Sarzana (Deliveroo), Andrea Di Camillo (P101) e Steven Muccioli (Ventis). Lo stesso Casaleggio, in un dibattito con il direttore del Sole 24 Ore, Fabio Tamburini, ha dato la sua lettura. “Oggi non credo che le imprese italiane siano pronte dinnanzi a questo immenso cambiamento. Un’impresa, se vuole innovarsi ha una sola strada: individuare e mettere in atto economia di scala, che a loro volta necessitano di accesso ai capitali. E proprio qui sta il problema, se è difficile accedere ai capitali si investe poco e se si investe poco allora non ci si innova”, ha spiegato il figlio di Gianroberto Casaleggio.

Il numero uno della Casaleggio Associati ha citato in proposito il modello francese, che Oltralpe ha avuto un grande successo. Per esempio facilitando l’accesso al cosiddetto venture capital, il capitale di rischio. Quando un’impresa ha bisogno di crescere in un settore ad alto potenziale di sviluppo (quale è l’e-commerce), si appoggia a investitori disposti a rischiare un po’. “In Italia abbiamo un fondo da 1 miliardo per il venture capital, ma bisogna capire se poi queste risorse riescono a partire oppure no. Io parto da un presupposto, che le aziende italiane devono potersi posizionare al meglio sul mercato e per farlo devono investire. Un’impresa che oggi, nel 2019, vuole avere delle prospettive, non può fare a meno di tutto questo”.

IL PROBLEMA BANCHE

Quando si parla di e-commerce, si parla naturalmente anche di banche visto che i pagamenti transitano necessariamente sulle carte emesse dagli istituti. E poi c’è il discorso tecnologico che vede le banche italiane impegnate nella rincorsa a una digitalizzazione arrivata troppo tardi. Oggi in Italia ci sono circa 600 istituti, la domanda da porsi è: quanti ne rimarranno dopo l’avvento della rivoluzione tecnologica? Casaleggio ha messo a fuoco il problema. “Le banche possono investire nella tecnologia, bisogna capire se lo vogliono fare. Ci sono molti banchieri che per esempio preferiscono investire in titoli di Stato esteri e non in tecnologia. Ancora una volta dico che occorre focalizzarsi sull’innovazione, io spero che questo sia il messaggio che passi, non solo per quanto riguarda le banche, ma a tutte le imprese”.

QUESTIONE DI REPUTAZIONE

Luca Eleuteri, altro partner della Casaleggio associati, ha affrontato un ultimo tema, quello della reputazione. D’altronde non esiste un universo più concorrenziale del web e dunque avere una buona reputazione è tutto. “Prima dell’acquisto negli store fisici i consumatori svolgono numerose azioni, spesso in sovrapposizione: il 39% di loro visita l’url del brand, il 36% legge recensioni dei clienti, il 33% cerca il prezzo online e il 32% cerca il brand su Amazon”.
Secondo Eleuteri “il 36% dei consumatori dichiara di apprezzare e di fidarsi maggiormente delle aziende che mettono a disposizione informazioni e opinioni. Ma c’è di più: secondo uno studio anglosassone condotto dalla Local Consumer Review Survey, il 72% dichiara addirittura di fidarsi delle recensioni online tanto quanto i consigli di una persona a lui vicina”.

Una visione condivisa anche da Andrea Incondi, country manager Italy Flixbus. “La reputazione è fondamentale, eventuali lamentele contano e conta la rapidità nelle risposte al cliente. La cosa importare è mitigare nel minor tempo possibile l’insoddisfazione del cliente”.

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