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Perché il divieto alle società Usa di fare affari con Huawei non sorprende

​Da un lato l’ordine esecutivo, firmato dal presidente Usa Donald Trump, che dichiara una “emergenza nazionale” e impedisce alle società statunitensi di utilizzare le apparecchiature di telecomunicazione fatte da aziende straniere che presentano un rischio per la sicurezza nazionale.
Dall’altro l’inserimento, da parte del Dipartimento del Commercio, di Huawei e 70 sue affiliate alla propria cosiddetta ‘Entity List’, una decisione che vieta al gigante delle telecomunicazioni di acquistare parti e componenti da società statunitensi senza l’approvazione del governo degli Stati Uniti, che rilascerà una licenza.
Sono queste le due mosse, operate in piena guerra dei dazi con Pechino, che stringono la tenaglia di Washington sui colossi tecnologici cinesi, sospettati dagli Usa di poter costituire – soprattutto attraverso le nuove reti 5G in corso di implementazione nel mondo – un veicolo di spionaggio a beneficio della Repubblica Popolare.

L’ORDINE ESECUTIVO

Nell’ordine, non viene nominata alcuna società specifica né alcun Paese, ma di fatto questo apre la strada al divieto di fare affari con giganti come Huawei e Zte. In particolare, il provvedimento, si legge nel testo, richiama l’International Emergency Economic Powers Act, che conferisce al presidente l’autorità di regolamentare il commercio in risposta a un’emergenza nazionale che minaccia gli Stati Uniti, e ordina al Dipartimento del Commercio, in collaborazione con altre agenzie governative, di redigere un piano per l’esecuzione entro 150 giorni.
In corso di revisione da più di un anno, il documento è finalizzato a proteggere da “avversari stranieri” la “supply chain (la catena di approvvigionamento, ndr) di tecnologie e servizi di informazione e comunicazione della nazione”, ha spiegato il segretario al Commercio Wilbur Ross.
“Sotto la guida del presidente Trump, gli americani saranno in grado di fidarsi che i nostri dati e le nostre infrastrutture siano al sicuro”, ha twittato l’esponente del governo.

LA LISTA NERA

Parallelamente, come detto, il DoC ha incluso il colosso di Shenzhen e 70 sue affiliate in una sorta di lista nera (la Entity List, appunto), che impedisce alla telco cinese di acquistare parti e componenti da società americane senza il via libera dei vertici. Un modo per proteggere la proprietà intellettuale delle compagnie americane o per non offrire un vantaggio rispetto ad alcune, delicate e innovative componenti.

LA RISPOSTA CINESE

Non è tardata la risposta di Pechino, che attraverso il ministero degli Esteri cinese Lu Kang ha respinto le accuse, ha sollecitato gli Stati Uniti a porre fine al loro “approccio sbagliato” e ha anticipato la sua intenzione di introdurre misure per proteggere le società della Repubblica Popolare da pratiche, considerate “inique”, adottate da Washington.
​Anche la telco di Shenzhen ha detto la sua, rimarcando che “limitare la possibilità per Huawei di operare negli Stati Uniti non renderà il Paese più sicuro né più forte”, ma “danneggerà gli interessi delle aziende e dei consumatori statunitensi”. Aggiungendo: “Siamo disponibili e pronti a collaborare con il governo degli Stati Uniti per identificare misure efficaci al fine di garantire la sicurezza dei prodotti”.​

LO SCONTRO CON PECHINO

Nel mezzo di uno scontro globale tra Washington e Pechino – tecnologico e commerciale – i provvedimenti, aveva già raccontato questa testata, si affiancano a una legge già promulgata nel 2018 dalla Casa Bianca che vieta alle autorità federali di utilizzare apparecchiature e device prodotti da Pechino. Circa un anno fa, la Federal Communications Commission ha proposto di impedire che il fondo governativo destinato per l’acquisizione di attrezzature e servizi a scopo pubblico sostenesse acquisti da società ritenute minacciose per il Paese. E la stessa Commissione ha votato all’unanimità per negare a China Mobile di fornire servizi di telecomunicazione negli Usa.

LA CORSA AL 5G

Il problema di un controllo del 5G è particolarmente sensibile ed esteso oltreoceano, dal momento che i venditori di servizi di rete degli Stati Uniti stanno cercando con urgenza dei partner per le loro reti. Mentre le grandi aziende hanno già tagliato i ponti con i colossi di Pechino, i piccoli operatori rurali continuano a fare affidamento sugli switch Huawei e Zte, nonché su altre apparecchiature più “economiche”. La Rural Wireless Association, che rappresenta gli operatori con meno di 100mila abbonati, ha stimato che il 25% dei suoi membri utilizza ancora dispositivi della Repubblica Popolare. Anche per questo Trump ha inteso correre ai ripari.

I TIMORI USA

Washington ritiene che le attrezzature di società cinesi come Huawei, il terzo produttore mondiale di smartphone, e la statale Zte, possano utilizzate dalla Repubblica Popolare per spiare l’Occidente, anche ​per effetto di una legge nazionale sull’intelligence che obblig​herebbe le aziende cinesi a collaborare con la madrepatria. In virtù di questi timori, gli Stati Uniti stanno portando avanti una campagna di sensibilizzazione nei confronti di partner e alleati – soprattutto quelli che ospitano basi Usa e Nato – per trasmettere loro i potenziali pericoli derivanti da un coinvolgimento di compagnie cinesi nelle proprie reti 5G (un’eventualità che, ha avvertito il Dipartimento di Stato, potrebbe portare anche a uno stop dello scambio di informazioni con Washington).

IL COMMENTO DI LUISA FRANCHINA

“La mossa di Trump”, spiega a Formiche.net Luisa Franchina, presidente dell’Associazione Italiana Esperti di Infrastrutture Critiche (Aiic), “non stupisce, perché le telco e più in generale l’Ict sono diventati, come l’elettricità, la base per abilitare ogni attività. A differenza della corrente elettrica, però, che può dare solo problemi di continuità, nell’Ict si annidano anche problemi di potenziale perdita della confidenzialità dei dati che vi transitano”.

Se si assume ciò, prosegue l’esperta, “la scelta della Casa Bianca rientra in una strategia volta non solo a sviluppare o a dotarsi delle migliori tecnologie sul mercato, ma anche a qualificare i propri fornitori dal punto di vista dell’indipendenza dal loro governo. Questo onere, naturalmente, non è mai a carico di chi vende ma di chi compra, che deve mettere in atto tutte le tutele che ritiene necessarie. In questo senso, mettendo da parte le tensioni politiche o commerciali, quella americana non è altro che una best practice quando si parla di acquisti di tecnologie e protezione della supply chain. D’altronde di scelte analoghe si discute non a caso anche in Europa, e non solo in relazione al 5G”, conclude.


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