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Il restauro di Notre-Dame e il radicamento della memoria

Viollet-le-Duc, insieme a Lassus, assume l’incarico del restauro di Notre-Dame nel 1844, al termine di un concorso pubblico, ma, soprattutto, a conclusione di un travagliato periodo, iniziato nel 1819, quando i lavori sono, dapprima assegnati, e poi rimossi (1842), a Godde, considerato troppo inesperto e scarso conoscitore dell’architettura gotica. L’edificio versa in condizioni molto precarie, dovute anche alle vandalizzazioni compiute durante la Rivoluzione Francese del 1789.

LO STILE NEOGOTICO

La Restaurazione sceglie di privilegiare lo stile Neogotico, non tanto per dichiarare un esplicito sostegno al conservatorismo, ma per aderire al nazionalismo romantico francese, in aperta contrapposizione all’internazionalismo neoclassico napoleonico. L’Illuminismo aveva liberato l’architettura dall’accompagnamento fedele degli stili, esprimendo chiaramente una linea di ricerca funzionalista; il Neogotico, che, al contrario, recupera la progettazione stilistica, non certo portatrice di uno spirito innovatore, esprime una linea espressiva che evidenzia, tuttavia anch’essa, un’altra forma di funzionalismo, quello strutturale.

L’INTERVENTO DI VIOLLET-LE-DUC SULLA GUGLIA

Ciò premesso, l’intervento di Viollet-le-Duc (Lassus muore nel 1857), proponendo la ri-costruzione della guglia, si colloca in una sorta di completamento dell’opera, pensando a quanto era mancante, perfino alle guglie sulle torri di facciata oltre a quella sulla crociera, e immedesimandosi nell’interpretazione di ciò che sarebbe stato stilisticamente coerente con l’impianto medievale della Cattedrale. Manifesta una logica evolutiva, che Victor Hugo aveva già esplicitato nel 1831 con la pubblicazione di Notre-Dame de Paris. “I grandi edifici, come le grandi montagne, sono opera dei secoli. Spesso l’arte subisce una trasformazione prima che siano finiti: pendent opera interrupta; vengono tranquillamente portati avanti secondo l’arte mutata. La nuova arte prende il monumento come lo trova, vi si insedia, lo assimila a sé, lo sviluppa secondo il suo capriccio e lo porta a compimento se riesce.” […] “Il tempo è architetto, il popolo manovale”.

L’INCENDIO DEL 15 APRILE

Il drammatico incendio del 15 aprile sembra far parte della trasformazione continua dell’opera, per affidare al tempo il compito di sceglierne e modificarne il carattere. Non risultano pertanto peregrine le ipotesi che non pochi architetti hanno sviluppato, forse con eccessiva improvvisazione, dando corpo alle recenti configurazioni moderniste apparse su tutti i giornali, incentrate soprattutto sulla ricostruzione della guglia o sulla sua eventuale non ricostruzione. Il tema evidenzia il confronto, sempre aperto, tra due correnti di pensiero – restauro conservativo e restauro innovativo –, quasi sempre contrapposte con accesa determinazione.

“COME ERA, DOVE ERA”

Personalmente ritengo che non ci si debba far guidare in nessun caso da decisioni pregiudiziali e che, anche di fronte a opere di grande notorietà e valore, non debba essere assunta, come apoditticamente incontrovertibile, l’affermazione “come era, dove era”. In alcuni casi tuttavia, e Notre-Dame rientra tra questi, è il luogo che prende il sopravvento sull’opera stessa, congelando l’immagine ambientale in un quadro dagli equilibri intoccabili e, per questa ragione, definitivi. Piazza San Marco a Venezia, dopo il crollo del Campanile nel 1902, Dresda, privata dell’intero centro storico dopo i bombardamenti del 1945, Mostar, tagliata in due dalla distruzione nel 1993 del cinquecentesco ponte ottomano hanno “preteso” di recuperare integralmente la loro memoria storica, proprio perché non avrebbe potuto essere sostituita da nessun altra immagine.

NOTRE DAME E IL RADICAMENTO NELLA MEMORIA

Considero l’Île de la Cité, così come gli esempi appena ricordati, un luogo dalla configurazione cristallizzata. Un attimo prima dell’incendio di aprile, l’insieme delle sue parti, molto più del singolo edificio, identificava l’intera città e, come tale, sviluppava l’immaginario di quanti si erano confrontati con esso. Il suo radicamento nella memoria, molto più che un simbolo carico di ideologia, è il segno concreto, fisico, dal quale scaturisce il ricordo. Per questa ragione il restauro di Notre-Dame deve affidarsi a una sua naturale riedizione, proprio per garantire a tutti, abitanti, fedeli e turisti, che alcuni caratteri della storia urbana non possono essere sostituiti: devono permanere come punti di riferimento indelebili.

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