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La Libia interrompe i rapporti con 40 aziende: ci sono Total, Siemens e almeno una italiana

LA LISTA NERA

Nel pomeriggio arriva dalla Libia una notizia deflagrante. Il governo onusiano libico ha comunicato l’intenzione di interrompere i rapporti con quaranta aziende internazionali per aver violato “la legge dell’attività imprenditoriale in Libia”. Alle aziende mancano i rinnovi delle licenze di operabilità, e per questo dovrebbero essere sospese le loro attività libiche. Agenzia Nova ha potuto vedere in anteprima la lista di queste ditte e scrive che dentro ci sono le francesi Total, Thales e Bruges, la tedesca Siemens, la Alcatel ora proprietà della finlandese Nokia, e almeno una italiana (il cui nome al momento della stesura di questo articolo non è ancora verificato e si preferisce ometterlo, ndr).

E’ un passaggio rilevante che rende ulteriormente più teso il clima. Proprio in questi giorni, il leader del governo promosso dall’Onu, Fayez Serraj, è impegnato in prima persona in una missione diplomatica in diversi paesi dell’Unione europea. Un tour partito da Roma, con soste a Berlino e Parigi, poi Londra (dove Serraj ha detto alla premier Theresa May di aver apprezzato la condanna alle operazioni di Khalifa Haftar contro Tripoli; gli inglesi, che hanno forti collegamenti con Misurata, città-stato da cui Serraj è protetto militarmente e politicamente, hanno lavorato, senza successo finora, per costruire una risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza Onu e sono stati i primi a definire l’attacco “un’aggressione”).

Nelle visite europee l’uomo scelto dall’Onu in Libia ha chiesto maggiore impegno per intimare la deposizione delle armi ad Haftar e il ritorno alle posizioni precedenti l’aggressione. Per Serraj, l’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica non può più essere considerato un attore negoziale, perché ha commesso crimini di guerra (ed è alleato di criminali di guerra come Mohammed al Warfalli).

Non è chiaro se l’intenzione di sospendere le attività per quelle ditte si leghi allo scarso impegno assunto dai governi europei per difendere Tripoli. Una forma di rappresaglia indiretta.

Ieri, dopo l’incontro con Serraj, l’Eliseo (accusato di tenere una posizione ambigua: ufficialmente sta con l’Onu, e d’altronde sarebbe difficile altrimenti, visto che la Francia fa parte del CdS, ma sottobanco sostenitore di Haftar) ha diffuso una dichiarazione in cui ha dato sostegno al governo onusiano e chiesto il cessate il fuoco. Una fonte da Misurata commenta velenosamente in forma discreta che è la “conseguenza dell’inadeguatezza militare delll’Uomo Debole libico” (ironia perché Haftar viene spesso definito uomo forte, ndr), che “sul campo non incassa successi” e ora “i suoi sponsor, imbarazzati anche dai crimini commessi da Haftar, cercano di fargli recuperare terreno diplomatico” con una tregua.

HAFTAR RISCHIA SANZIONI ONU PER UN DRONE

La giornata è densa di novità. Secondo un report preparato per il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, visto in modo confidenziale dalla Reuters, l’organismo che per l’Onu si occupa di monitorare il rispetto delle misure sanzionatorie sta indagando sull’uso da parte del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, di almeno un drone armato usato per dare sostegno dall’alto all’aggressione contro Tripoli.

Secondo quanto scrive l’agenzia, l’uso di quel velivolo senza pilota sarebbe indicato come sostegno da “terze parti” all’attacco lanciato contro la capitale libica per destabilizzare il governo guidato da Serraj (guida del meccanismo che l’Onu ha pensato per rappacificare il paese quattro anni fa, continuamente ostacolato da Haftar, finora solo politicamente adesso anche con le armi, e da alcuni suoi sponsor internazionali come Egitto, dove oggi Haftar è stato ricevuto in visita, Emirati Arabi e Arabia Saudita).

Secondo il report, almeno un missile “BA-7 Blue Arrow” è stato sparato nell’hinterland di Tripoli il 20 aprile, in un attacco aereo che ha prodotto diverse vittime civili. Quello che dice l’inchiesta dell’Onu sembra confermare quanto già scritto anche su queste colonne: quella tipologia di missile aria-terra, nota anche come LJ 7 (dal cinese Lán Jiàn), ritrovata tra le macerie (di cui erano state mostrate diverse immagini) è usata dai droni Wing Loong.

Sono entrambe armi di fabbricazione cinese, ma il rapporto afferma che è “quasi certo” che l’arma non sia stata fornita direttamente dal “produttore o dallo stato membro a nessuna delle parti in Libia”. Questi armamenti sono in possesso delle forze armate degli Emirati Arabi che già in passato li hanno utilizzati per dare sostegno ad Haftar, ma anche di quelle egiziane e saudite (un LJ-7 montato su un Wing Long il 9 aprile del 2018 è stato usato in Yemen per assassinare il capo del Consiglio presidenziale dei ribelli Houthi, Saleh Ali al-Sammad da parte del blocco a guida saudita che sta cercando, senza risultati da quasi quattro anni, di respingere i rivoluzionari che hanno rovesciato il governo di Sanaa).

Secondo l’Onu, l’introduzione di queste armamenti negli scontri attorno Tripoli è una chiara “violazione dell’embargo” imposto sulla Libia “da parte di un lato del conflitto non ancora confermato”. Domani il Consiglio discuterà della risoluzione 2292, quella che dal 2016 autorizza gli stati membri a ispezionare navi in ​​alto mare al largo delle coste libiche ritenute in violazione dell’embargo.

Ieri la vice portavoce delle Nazioni Unite, Farhan Haq, ha diffuso una conteggio dei morti prodotti dall’inizio dell’aggressione haftariana a Tripoli: 440, migliaia i feriti, 60mila i rifugiati interni. Haq s’è detta molto preoccupata per gli attacchi aerei. Tre giorni fa, il segretario generale Antonio Guterres ha firmato una dichiarazione congiunta col presidente della commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, chiedendo che la comunità internazionale si impegni per un cessate il fuoco e blocchi le azioni ai danni dei civili.

Oggi, un’ambulanza è stata colpita nell’area di Twaisha, sud di Tripoli, ed è probabile che siano state le forze haftariane secondo i report locali: la Coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite per la Libia, Maria Ribeiro, ha condannato l’attacco.

(Foto: Twitter, @UNcoordLibya)

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