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Spread a 275. Peggio di noi, solo Siria, Yemen, Congo, Venezuela. Parla Danilo Broggi

Niente da fare, il debito pubblico italiano continua a rimanere sì sostenibile, ma a caro carissimo prezzo. Ieri Formiche.net ha dato prova di come i mercati che ci prestano liquidità per 400 miliardi di euro all’anno stiano monitorando molto attentamente la situazione italiana. Tra litigi di governo, un Pil rasoterra e parametri di finanza pubblica ampiamente sforati (a cominciare dal deficit, quest’anno al 2,5% ma solo se si lascerà scattare l’Iva) i rendimenti sui titoli italiani continuano a mantenersi su livelli pericolosamente elevati, con un tasso sul Btp a 10 anni al 2,67% e come dimostra lo spread Btp/Bund, che questo pomeriggio si è portato a 275 punti base (chiusura a 272), dieci in più di ieri e quindici rispetto a tre giorni fa. L’Italia dunque continua a spendere miliardi di euro per garantirsi denaro dai creditori internazionali che ci finanziano il debito. Per capire che cosa continua a turbare gli investitori, Formiche.net ha interpellato Danilo Broggi, ex manager di Stato (Consip) e oggi nel board di Eos Investements, uno dei maggiori network di investimenti. Come è possibile che la seconda manifattura europea continui a pagare un premio sui propri titoli non così lontano da quello dei titoli greci, il cui spread con il Bund è a 359?

“Al primo punto i nostri numeri”, spiega Broggi. “Siamo il Paese in europa che cresce meno con un Pil (dati della Commissione Ue, ndr) stimato 0,1% 2019 e 0,7% 2020 peraltro dopo oramai dieci anni di crisi. Al mondo peggio di noi solo Siria, Yemen, Zimbabwe, Congo e Venezuela. Cosa dire…? Secondo: l’instabilità intrinseca dell’attuale governo che non dà garanzia di stabilità e in particolare sui temi economici vi sono disparità di vedute che poi si traducono in compromessi al ribasso”. Il menù, dice Broggi, non è completo. Mancano almeno un paio di ingredienti. “C’è un terzo punto. Troppa focalizzazione su temi di tipo sociale (immigrazione, reddito di cittadinanza), il cosiddetto assistenzialismo e troppo scarsa sui temi dello sviluppo economico. In particolare manca un progetto di sviluppo per dare al paese un futuro che sia chiaro, coerente, robusto e di almeno medio termine. Un new deal italiano insomma”.
La quarta causa della scarsa fiducia nella nostra economia è la sfiducia stessa, ma degli italiani verso il loro stesso governo. Uno stato morale che si va a sommare a quello degli investitori esteri. “Gli stessi italiani non ci credono più. Una recentissima indagine Censis-Conad (qui l’intervista al ceo di Conad, Francesco Pugliese) dice che sono gli stessi italiani a non crederci e a non vedere un progetto in cui credere: 55,4% dichiara una peggiore condizione economica rispetto ad un anno fa ma soprattutto  il 48,4% prevede un peggioramento economico delle proprie condizioni nei prossimi mesi”.
Una via di uscita ci sarebbe, se non altro per riportare lo spread nei ranghi. Quello che bisogna a tutti i costi evitare è l’effetto goccia cinese, cioè uno spread che rimanendo alto spinge in alto giorno dopo giorno la nostra spesa pubblica. “Non dimentichiamo la speculazione sui mercati finanziari, il vero ‘mostro’ della finanza. A maggior ragione dobbiamo guardare a medio-lungo termine, cioè uscire dalla contingenza e short-termims (breve termine, ndr)  e dotarci come sopra ho richiamato di un progetto sviluppo economico Paese che metta al centro il nostro ceto produttivo micro, piccolo, medio e grande e dia ai giovani spazi e ambiti in cui potersi realizzare nel mondo del lavoro anche, laddove possibile, autonomamente mettendo a frutto la tanta creatività e capacità tecnologica. Questo ci serve”.
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