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Lo spread costa (per ora) 56 miliardi alle imprese. Ma la Lega non se ne accorge

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Bankitalia l’ha detto chiaro e tondo proprio due giorni fa (qui l’articolo): lo spread a 280 punti base sta lentamente restringendo i cordoni della borsa delle banche. Tradotto, se il nostro debito costa troppo in termine di premio a chi compra, le banche che di Btp ne hanno per 300 miliardi in pancia, ci rimettono. E a pagare dazio sono anche le imprese.

IL CONTO DELLO SPREAD

Non stupisce quindi che oggi la Confesercenti, l’associazione cioè delle piccole imprese commerciali, abbia fatto due conti, basandosi sui dati della stessa Bankitalia. Arrivando a una conclusione: “il credit crunch morde ancora le imprese italiane. Nel corso del 2018, i prestiti bancari alle imprese non finanziarie sono diminuiti di oltre 56 miliardi di euro, per una contrazione media del -7% sull’anno precedente“. Attenzione, perchè i dati sono del 2018 ma lo spread era già abbondantemento oltre i 200 punti base, dunque in zona rossa. I conti, dunque, tornano.

CHI PAGA?

E l’emergenza credito è stringente, dice Confesercenti, soprattutto per i piccoli: i prestiti per le imprese tra i 6 ed i 19 addetti, infatti, registrano un calo record dell’11,1%, pari a oltre 7 miliardi di euro in meno. Una riduzione ancora più grave se si considera che la quota totale dei prestiti riservati alle piccole imprese è già sproporzionatamente bassa: le attività con meno di 20 dipendenti, pur costituendo il 98,2% del tessuto produttivo, ricevono in credito solo il 18,5% del totale dei finanziamenti bancari dedicati alle imprese non finanziarie: circa 58 miliardi su oltre 752 miliardi complessivi. L’inaridimento del credito per le imprese riguarda tutto il territorio nazionale, anche se con importanti differenze tra aree geografiche e tra regioni. Il credit crunch è infatti forte soprattutto nel Mezzogiorno, dove si registra un calo medio dell’11,7% dei finanziamenti, particolarmente grave nelle Isole (-13,1%); nel Nord Ovest, invece, si rileva la frenata più contenuta (-4,8%).

SARDEGNA A SECCO (DI PRESTITI)

Tra le regioni, a vedere la più importante diminuzione di finanziamenti è il Molise (-14,9% di prestiti erogati), seguito dalla Sardegna (-14,8%) e dalla Calabria (-14,7%), mentre a soffrire un po’ di meno sono le imprese delle province autonome di Trento e Bolzano (-1,5% di finanziamenti), del Friuli Venezia Giulia (-1,6%) e del Piemonte (-3,6%). Se si restringe l’analisi al credito per le imprese tra 6 e 19 addetti, la maglia nera va alla Calabria (-18,8%), seguita da Molise (-17,1%) e Sardegna (-18,8%). Unico segno più, nel panorama del credito alle imprese, è il +1,5% di prestiti rilevato nel Trentino-Alto Adige per le imprese con meno di 5 addetti.

LA LEGA INSISTE SUL 3%

Nella Lega però non sembrano essersi accorta del problema. Dopo il vicepremier Matteo Salvini, che pochi giorni fa ha di nuovo paventato lo sforamento del tetto del 3% deficit/pil riaccendendo uno spread già alto, oggi il sottosegretario allo Sviluppo, Claudio Durigon (Lega) è tornato sull’argomento. “Sforare il 3% non può che far bene se permette di realizzare investimenti, ridando energia positiva al Paese, mentre tutte le politiche economiche degli ultimi anni ci hanno reso ultimi o penultimi. Abbiamo bisogno di qualcosa di diverso, anche per questo speriamo che dalle urne il 26 maggio vengano fuori equilibri diversi, un’Europa che dia risposte ai governi, permettendo l’attuazione dei programmi scelti. Ma non credo che questa possa essere una ragione di preoccupazione. Altrimenti sarebbe un’altra cosa”.

CONFINDUSTRIA ATTACCA, BASTA CON LE SBRONZE ELETTORALI

Parole che stanno continuando a innervosire le imprese, che in banca a chiedere un prestito ci devono andare e molti imprenditori non possono permettersi un aumento del costo del denaro o peggio un finanziamento negato. Per questo, intervenendo all’assemblea di Confagricoltura, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia è stato durissimo. “Non usare l’Europa come alibi per non affrontare la situazione italiana, con il nostro debito pubblico non possiamo sforare il deficit per fare spesa ordinaria. Lo sforamento del 3% non è una questione europea ma italiana, penso che nessun alleato ce lo consentirebbe ma questa è una questione tutta italiana e solo italiana”. Tradotto: “la politica dovrebbe avere il senso del limite. L’auspicio è che sia un linguaggio frutto di una ubriacatura elettorale”.

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