È iniziata oggi una serie di incontri diplomatici convocati e ospitati dall’Arabia Saudita per parlare dell’emergenza Iran con i membri di Lega Araba, Consiglio della Cooperazione del Golfo e Organizzazione islamica per la Cooperazione. I leader arabi sono chiamati dai sauditi in questa delicatissima fase che coinvolge tutto il Medio Oriente, aggravata quando gli Stati Uniti hanno rafforzato la propria presenza nell’area a fronte di informazioni di intelligence secondo cui Teheran starebbe organizzando, attraverso le sue entità proxy (le milizie sciite che controlla nella regione), attacchi contro gli interessi americani e quelli dei propri partner.
IL RUOLO DI RIAD
“Le riunioni sono il tentativo con cui l’Arabia Saudita cerca, nel modo più aperto e pubblico visto finora, di intestarsi la guida delle dinamiche regionali. Un’operazione questa che è iniziata diverso tempo fa, e che ha alla guida l’erede al trono Mohammed bin Salman, ma viene sposata anche da Re Salman“, spiega Cinzia Bianco, tra i massimi esperti sulle dinamiche del Golfo. “Questa che si presenta adesso – continua Bianco, analista della Gulf State Analytics (che si occupa di fare consulenza strategica per grandi aziende che vogliono muoversi nel Golfo) e Phd Candidate all’Università di Exeter – è l’occasione perfetta, perché porta sul tavolo il principale dossier su cui i sauditi pensano di poter giocare questo ruolo di leadership regionale: il contrasto all’Iran”.
IL CONTESTO
Nei giorni scorsi, quattro navi (di cui due petroliere saudite) sono state sabotate davanti al grande hub petrolifero di Fujairah, negli Emirati Arabi davanti al sensibilissimo Stretto di Hormuz, con un’operazione che secondo il consigliere per la Sicurezza nazionale americana, John Bolton, è stata probabilmente ordinata da Teheran. Bolton ieri, durante il suo viaggio di ritorno dalla visita di stato americana in Giappone, ha fatto scala negli Emirati, e da lì il falco anti-Iran dell’amministrazione Trump ha rilasciato la dichiarazione, ospite della corte del più assertivo dei paesi nel contrasto iraniano. Nelle scorse settimane, i ribelli Houthi, connessi in modo sfumato con alcuni settori della leadership teocratico-miliare iraniana, hanno lanciato droni kamikaze contro pipeline saudite; e la difesa aerea di Riad ha intercettato un paio di Scud sparati dallo Yemen contro il proprio territorio.
IL MESSAGGIO DI ACCOGLIENZA
I sauditi hanno posizionato parti di quei razzi all’ingresso dell’edificio che ospita alcune delle sale in cui si terranno gli incontri diplomatici di questi giorni, per rendere chiaro il messaggio sull’argomento centrale dei summit. “È un’immagine evidente, perché secondo i sauditi e secondi alcuni osservatori internazionali quei missili sono di fabbricazione iraniana (e in qualche modo passati ai ribelli yemeniti, ndr). Dunque – continua Bianco – i leader che arrivano in questi giorni in Arabia Saudita sono subito accolti da questa testimonianza sulla crescente minaccia del regime di Teheran organizzata dagli ospitanti”.
UN FRONTE (DIS)UNITO?
Ma c’è coesione su questa linea dura contro la Repubblica islamica? “I partecipanti arrivano agli incontri con in mano i loro dossier, che dimostrano anche punti di vista diversi soprattutto collegati al ruolo della leadership saudita, che viene criticata perché non condivisa, bensì auto-imposta, e trova opposizioni in questa sua accezione assolutista e repressiva di altre posizioni all’interno dell’Islam sunnita, per esempio quelle sull’Islam politico della Fratellanza musulmana”. Molti degli attori in campo – come il Bahrein e il Kuwait – pensano che sia difficile fare un ragionamento di contrasto all’Iran se il fronte sunnita è così frammentato, e restano più distaccati: a proposito di questo, val la pena sottolineare il ruolo del Qatar.
INVITI E PRESSIONI
“Doha si era lamentata di non aver ricevuto inviti ufficiali per questi summit – commenta Bianco – e a quel punto Re Salman ha inviato all’emiro una lettera di invito, che in realtà è abbastanza standard, rituale. Però tutta la stampa vicina al Qatar ha dato particolare enfasi a questo invito interpretandolo come un segnale di apertura da parte di Riad nei confronti dei qatarini”, contri cui due anni fa un gruppo di paesi regionali, guidato dai sauditi, ha imposto un blocco diplomatico e commerciale. “Tutto rientra nella logica della forza politica delle parti in gioco: il Qatar ha pieno interesse di dare l’impressione che i sauditi siano i primi a indietreggiare nella crisi e utilizzano l’invito come espediente”. Ma ha comunque un valore la non-esclusione? “Il Qatar ha un ruolo fondamentale per gli Stati Uniti nel confronto con l’Iran (ospita la base di Al Udei, hub del CentCom, dove nei prossimi giorni arriverà parte di un contingente di rafforzamento regionale che la Casa Bianca ha recentemente approvato, su richiesta del Pentagono, per far fronte alla crescente minaccia iraniana. Ndr)”. Per questo sono gli Stati Uniti “a fare pressioni ai sauditi affinché i qatarini non restino esclusi – aggiunge Bianco – anche perché l’impressione di unità dà maggior peso alla forza di contrapposizione a Teheran”.
UN ALTRO PUNTO AL CENTRO DEGLI INCONTRI
“Credo che un altro argomento legato al dossier iraniano nella regione su cui si concentreranno le discussioni in questi giorni, è il cosiddetto ‘Deal Of The Century‘, ossia l’accordo tra Israele e Palestina di cui Jared Kushner (il genero/consigliere di Donald Trump, ndr) si farà promotore appena dopo la fine del Ramadan”, ossia dopo il 5 giugno, ma la data potrebbe saltare visto che in Israele si tornerà al voto. La necessità di proteggere la presentazione di un piano di pace cui la presidenza Trump ha già affidato un ruolo di legacy internazionale – che in questo momento è indebolito dalla crisi politica in Israele – potrebbe stare in parte dietro alla decisione degli Stati Uniti di aumentare la presenza militare in Medio Oriente in queste settimane, in modo da creare deterrenza nei confronti dell’Iran, che avrebbe potuto indirizzare i suoi proxy in azioni di disturbo, dato che Teheran considera lo stato ebraico un nemico esistenziale e ha per questo fornito assistenza ai gruppi armati palestinesi.
“Il piano è già considerato molto divisivo – dice Bianco – e infatti player strategici come la Giordania sono in crisi interna, perché ci sono componenti della leadership secondo cui è impossibile accettare le condizioni condivise finora, perché temono che possano portare ulteriore instabilità in un paese sotto pressione dalla scadente condizione di sicurezza dell’Iraq, dai rifugiati siriani e palestinesi e dalle difficoltà economiche”. Ieri Kushner era in Giordania, non a caso; oggi dovrebbe andare a Gerusalemme, ma senza un governo il piano del secolo potrebbe slittare a fine anno; quando però Trump sarà già molto impegnato con la campagna per la rielezione.
(Foto: Twitter, @spagov, il re giordano durante il summit)