All’inizio del mese l’intelligence del Pentagono (Dia) ha presentato ai legislatori il China Military Power Report, un’analisi delle potenzialità militari cinesi che in questo momento ha un valore molto profondo. Per Washington, Pechino è il rivale strategico numero uno, quello contro cui decidere provvedimenti forti come l’esclusione di Huawei dal mercato americano, o contro cui ingaggiare una guerra commerciale a potenziale ricaduta globale; o ancora, fronteggiarsi su terreni ibridi (il Medio Oriente, per dire) o rivendicando presenza all’interno di dossier che la Cina considera a propria esclusiva sovranità.
CINA VS TAIWAN
In questo, il capitolo del report che riguarda Taiwan è molto interessante. L’amministrazione Trump ha tenuto un rapporto molto aperto, esposto e disponibile nei confronti dell’isola che invece per Pechino è una provincia ribelle che prima o poi andrà riannessa allo stato centrale, e lo stesso presidente Xi Jinping – che non più tardi di ieri in un discorso ha sottolineato che secondo le visioni della sua New Era “nessuna civiltà è superiore” – qualche mese fa ha detto che prima o poi la Cina si riprenderà Taipei e che “faremo di tutto” per ottenere il risultato (ossia anche, al limite, usare le armi). Per questo l’argomento è diventato centrale nelle relazioni tra le due potenze.
IL RAFFORZAMENTO CINESE
Secondo le valutazioni della Difesa americana, diverse delle spese militari che il governo cinese ha varato per i prossimi anni riguardano proprio il potenziamento delle strutture in grado di mettere sotto assedio marittimo e aereo Taiwan, e sistemi d’assalto anfibio per un’invasione, nonché la suddivisione in unità più operative con gruppi di logistica integrata (la Forza di supporto logistico congiunto istituita a fine 2016 avrebbe proprio nel coordinare i rifornimento per un ipotetico attacco a Taiwan uno dei suoi scopi).
LE SPESE MILITARI
Le spese per le armi sono un aspetto che Pechino cerca di mettere in sordina, preferendo diffondere l’armonia prospera che i suoi progetti geopolitici (come la Belt and Road) porteranno al mondo, ma anche quest’anno cresceranno del 7,5 per cento. Un aumento “appropriato e ragionevole” è stato il commento del governo alla diffusione dei dati un paio di mesi fa, che in realtà dimostravano una contrazione, ma mettevano il paese come secondo nella classifica globale (dietro ai tuttora irraggiungibili Stati Uniti). Per dire della contrazione fino a un certo punto: la scorsa settimana il programma “ChinaPower” del think tank Center for Strategic and International Studies ha mostrato le immagini satellitari del cantiere in cui i cinesi stanno costruendo la terza portaerei: un elemento strategico che proietta Pechino tra le potenze globali.
INADEGUATEZZA
Nonostante gli sforzi, però, il report del Pentagono sottolinea diverse immaturità della difesa cinese, per esempio collegate al corpo dei marines, che avrebbe peraltro un ruolo chiave nell’azione di sbarco taiwanese. Sono pochi, dicono i militari americani (comunque Pechino li sta aumentando), compiono esercitazioni a livello di battaglione inadeguate per un attacco su larga scala (comunque Pechino li sta implementando). La conclusione della Difesa statunitense, secondo i dati a disposizione oggi, dice che un’invasione di Taiwan, oltre ad essere gravata da “significativi rischi politici […] probabilmente metterebbe a dura prova le forze armate cinesi”. A settembre dello scorso anno, un lungo saggio sui rischi per Pechino di un’azione militare contro Taiwan – rischi tecnici: la Cina potrebbe anche perdere – era stato pubblicato già su Foreign Policy.
LE TENSIONI SULLO STRETTO
Nei giorni scorsi, poco dopo l’uscita del report americano, lo stretto che divide l’isola dalla Cina è stato oggetto di esercitazioni “live-fire” organizzate da Pechino: saranno tenute in aree al di fuori da quelle di pesca e di navigazione aveva anticipato il governo cinese, ma è evidente che il messaggio lanciato era chiaro. E pure il meta-messaggio: tre settimane fa una fregata francese (Parigi in questo periodo ha un rapporto un po’ delicato con Pechino) aveva tagliato quelle stesse acque rivendicando diritti di libera navigazione, attività simili a quelle condotte con una routine diventata più stringente in questi ultimi due anni dagli Stati Uniti (e non solo a Taiwan, ma anche nell’altro delicatissimo teatro geopolitico che è il Mar Cinese Meridionale).
SOVRANISMO CINESE
La Cina non gradisce, anzi detesta certe attività; gli avversari invece cercano di marcare la propria presenza. Pechino manda segnali muscolari a Taiwan perché vuole creare un cortina fumogena di superiorità militare con cui piazzare paletti stringenti sull’obiettivo della riunificazione pacifica (prima che Taipei dichiari l’indipendenza) o quanto meno senza uso della forza. È un modo per destabilizzare le posizioni taiwanesi indipendentiste e quelle di coloro che dall’esterno vorrebbero coltivarle. Un po’ come dire: abbiamo la forza per schiacciarvi, ma vogliamo evitare di farlo. Simmetricamente va anche letto il report del Pentagono, che dice qualcosa come: non è vero, la Cina si sta armando ma non ha ancora acquisito quella forza necessaria, e smonta così parte del sistema di pressione che Pechino ha alzato contro l’isola.
(Foto: Forze armate di Taiwan, un’esercitazione sul corpo a corpo)