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O i missili russi S-400 o gli F-35, l’aut aut degli Usa alla Turchia

La Commissione dei Servizi armati del Senato degli Stati Uniti intende bloccare la vendita di vari caccia di ultima generazione F-35 alla Turchia e di rimuovere Ankara dalla partnership sul programma di sviluppo della produttrice Lockheed Martin se il governo turco, alleato della Nato, dovesse continuare con il suo piano di acquisto del sistema di difesa missilistica anti-aereo russo S-400.

LA LEGGE PER LA DIFESA

Il provvedimento è inserito nella legge quadro per le autorizzazioni sulla Difesa per il 2020 (acronimo Ndaa), un piano con un previsionale da 750 miliardi di stanziamenti, che è stato anticipato mercoledì e presentato ieri. Proibire la vendita di F-35 alla Turchia è una mossa dal profondo significato politico, perché significherebbe punire un alleato strategico americano per il Medio Oriente, nonché membro Nato, che custodisce all’interno di una sua base (Incirlik) testate atomiche statunitensi, per l’eccessiva esposizione alla Russia.

POCHI SPAZI AI TURCHI

Secondo chi ha avuto modo di analizzare il comma che il Comitato senatoriale americano vorrebbe inserire nel Ndaa, il linguaggio legislativo è molto duro e stringente. La senatrice che l’ha redatto, Jeanne Shaheen (democratica del New Hampshire, a testimonianza che la posizione è bipartisan), l’ha spiegato così in una nota: “Finché il presidente Erdogan continuerà a portare avanti i piani per l’acquisizione del sistema di difesa aerea russo S-400, qualsiasi trasferimento di velivoli, attrezzature o forniture di F-35 deve essere fuori dal tavolo”. Poco spazio all’interpretazione. Washington avrebbe lasciato massimo due settimane di tempo ai turchi per tornare indietro sull’acquisto che Ankara ha più volte ribadito, dopodiché procederà con l’inclusione del provvedimento nella legge. Da considerare che in questi giorni il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha annunciato che personale militare turco è invece già in Russia per partecipare a un addestramento sugli S-400.

RISCHI PER IL PROGRAMMA F-35

Il punto su cui battono gli americani, già sottolineato ai turchi dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è che acquistare un sistema ad alta tecnologia come quelle batterie anti-aeree diventerebbe molto problematico nell’integrazione tra sistemi all’interno della Nato (che è uno dei presupposti dell’alleanza). Inoltre le intelligence americane temono che dai radar degli S-400 i russi possano carpire informazioni sugli F-35 una volta arrivati in Turchia, e perdere dati sulle vulnerabilità dei super-caccia non è solo una questione di concorrenza commerciale – aspetto che in parte è invece in campo dietro all’acquisto turco – ma diventerebbe un problema strategico. La Russia non ha infatti ancora sviluppato una tecnologia aerea in grado di competere con i caccia Lockheed Martin. Ma c’è di più.

LA CRISI DI RELAZIONI TRA USA E TURCHIA

I rapporti tra Washington e Ankara sono da anni in crisi: i turchi hanno contestato agli Stati Uniti il disinteressamento alla vicenda siriana – guerra che invece ha prodotto una crisi migratoria enorme in Turchia, nonché ha esposto il Paese agli attacchi jihadisti e riaperto la faida con i curdi – già ai tempi dell’amministrazione Obama. Il nervosismo per il disimpegno eccessivo degli americani, accusati di non lavorare a sufficienza per detronizzare il rais Bashar el Assad, è diventato acredine quando gli americani hanno avviato la campagna ibrida anti-Is al nord siriano in partnership con i curdi locali, che la Turchia considera nemici in quanto alleati del Pkk.

L’AMMINISTRAZIONE TRUMP E LA TURCHIA…

Ankara sperava di trovare nell’amministrazione Trump l’occasione per riallineare le cose ma Washington ha continuato a tenere una linea fredda, e addirittura il presidente Recep Tayyp Erdogan ha accusato più o meno apertamente gli americani per il tentato colpo di Stato del luglio 2017. La ragione di questa distanza americana è duplice. Da una parte c’è un atteggiamento punitivo nei confronti dell’eccessiva esposizione a Mosca concessa dalla Turchia con l’ingresso nel sistema negoziale di Astana, un piano alternativo a quello onusiano per pacificare la Siria studiato dagli alleati del regime, Iran e Russia. Ankara vi ha aderito perché ha pensato che con quei partner potesse ottenere qualcosa di più: ossia, venuto meno il sogno di destituire Assad, almeno la possibilità di isolare il fronte del nord, dove i curdi siriani avevano preso spazio grazie ai successi contro i baghdadisti e avevano iniziato a gettare le basi per le proprie istanze indipendentiste, che per i turchi sono problematiche dal riflesso interno, in quanto potrebbero diventare un precedente a cui i curdi locali si potrebbero aggrappare. Russi e iraniani volevano la Turchia nel sistema più che per necessità tecniche sulla Siria per il peso politico che il disallineamento avrebbe prodotto nei confronti di Usa ed Europa.

… E GLI ALLEATI IN MEDIO ORIENTE

Non solo però, perché dietro lo scontro tra Stati Uniti e Turchia c’è la sovrapposizione del confronto intra-sunnismo che sta caratterizzando questa fase regionale. Washington è piuttosto allineata con Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che sono due Paesi che – in una partnership dove i primi sono maggioranza, ma i secondi diventano spesso il traino assertivo su diversi dossier – si contendono con la Turchia la guida del culto maggioritario musulmano. Distanze ideologiche (interpretazione dell’Islam sunnita), ma anche geopolitiche, volontà di controllare quel quadrante nevralgico e gli output connessi. I missili sono parte della questione: mentre i turchi sembrano aver deciso di acquistare le batterie S-400, i sauditi hanno chiuso accordi per comprare il sistema Thaad (made in Lockheed Martin) e nuove batterie Patriot di Raytheon – rifiutate da Ankara sotto le pressioni americane.



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