La crisi venezuelana è arrivata al momento delle armi, una fase in cui l’Italia non può più restare a guardare. Abbandonare le divisioni interne al governo diventa una necessità per aiutare a evitare la guerra civile imminente.
Ieri il salto di qualità, quando l’autoproclamato presidente, Juan Guaidó, ha manifestato il sostegno di alcuni reparti militari e annunciato la deposizione del regime. Ieri mattina all’alba, Guaidó — nominato presidente secondo l’articolo 233 della Costituzione invocata dall’Assemblea Nazionale legittimamente eletta — era alla base de La Carlota, Caracas, da dove, insieme al leader delle opposizioni, Leopoldo Lopez (liberato dai domiciliari in cui era detenuto per atto di repressione politica) ha provato a lanciare lo scacco finale contro la satrapia chavista di Nicolas Maduro.
Per comprendere la posizione dell’Italia, Formiche.net ha sentito due dei sottosegretari al ministero degli Esteri, Guglielmo Picchi, quota Lega, e Manlio Di Stefano, esponente del Movimento 5 Stelle.
“Vediamo la volontà del popolo venezuelano di tornare alla libertà e alla democrazia e sopratutto a normali condizioni economiche che il regime di Maduro non riesce a garantire”, spiega Picchi.
Golpe o rivolta legittima? “Siamo contrari da sempre a soluzioni violente — continua il leghista — e chiediamo con insistenza una transizione verso nuove elezioni free and fair secondo standard Osce. Maduro non è presidente legittimo come riconosciuto anche nel Parlamento Italiano”.
“Desiderare un governo migliore è una legittima e naturale ambizione del popolo venezuelano, ma l’unico percorso possibile, duraturo e riconoscibile è quello politico, democratico e non violento”, commenta Manlio Di Stefano. “L’Italia, così come i partner europei, si è sempre resa disponibile per facilitare il percorso verso nuove elezioni presidenziali da tenersi prima possibile, ma non accetterà nessuna altra opzione a questa”, continua MdS.
La posizione italiana sul dossier è tenuta piuttosto in considerazione: un mese fa, per esempio, l’inviato speciale del dipartimento di Stato statunitense, Elliot Abrams, era a Roma, a chiedere al governo italiano, con la sponda dell’ambasciata, di impegnarsi per la soluzione della crisi in Venezuela. Washington, sbilanciata su Guaidó, conta sull’Europa: era questo il messaggio che si portava dietro il messo diplomatico dell’amministrazione Trump. E soprattutto conta su Spagna, Portogallo e appunto Italia (che nel paese ha circa duecentomila immigrati e ottocentomila oriundi discendenti).
Roma ha mantenuto una linea più timida di altri Paesi europei nello schierarsi con Guaidó, fin dal 23 gennaio del 2019, data dell’insediamento. Scelta legata anche al dualismo tra le forze politiche che compongono il governo, Lega e Movimento 5 Stelle, che hanno a volte letture non allineate su varie questioni.
Con l’evoluzione della crisi l’allineamento degli uomini di governo sembra migliore di mesi fa. Le differenze restano, ma passano come sfumature, sebbene nella Lega e nel Movimento, insieme alle posizioni governative convivano anime più esposte verso Guaidó (tra i leghisti) e altre che contestano la presenza americana dietro al presidente dell’Assemblea (tra i grillini) e per questo si trovano quasi a sostenere la legittimità di uno dei regimi più duro del mondo.
Ieri palazzo Chigi ha diffuso una nota ufficiale sulla situazione: “Il governo italiano auspica una transizione politica pacifica e un’evoluzione democratica del Paese attraverso libere elezioni come da volontà diffusamente manifestata dal popolo venezuelano”. Anche se per le strade di Caracas si spara da ieri pomeriggio, e la situazione sembra aver preso una pericolosa deriva.