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Salvini alla Casa Bianca. I consigli di viaggio dell’ambasciatore Castellaneta

Guardare al lungo periodo e non alle piccole contingenze. Questo è il consiglio che Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano negli Usa e presidente di Sace, autore di “In prima fila – Quale posto per l’Italia nel mondo?” (Guerini e Associati) in uscita il 19 giugno, si sente di dare a Matteo Salvini, in partenza per una visita di due giorni a Washington DC. L’amministrazione Trump è forte, e forse farà il bis. Ma l’amicizia fra Italia e Stati Uniti la precede e durerà ben oltre.

Quanto pesa questa visita di Salvini a Washington?

Molto. L’Italia deve essere consapevole di avere un ruolo chiave per gli americani, non solo per l’amicizia che la lega da sempre agli Stati Uniti ma anche e soprattutto per la sua influenza nel Mediterraneo e nei Balcani.  È pur vero che gli americani amano persone che decidono e mantengono le promesse. Meglio non promettere se non possiamo mantenere.

Ad esempio?

La Difesa. Salvini ha il non facile compito di spiegare, in veste di leader del partito che ha appena vinto le europee e che potrebbe permettergli di governare i prossimi anni, la sua idea di Difesa e il ruolo della nostra industria di settore. Dare rassicurazioni sui programmi avviati con gli Usa, e al tempo stesso chiedere più apertura del loro mercato per aeroplani, elicotteri, navi italiane. Compriamo molto ma dobbiamo anche vendere.

Ma lui è il ministro dell’Interno. E ogni volta che si è occupato del settore è finito a litigare con la titolare pentastellata del ministero, Elisabetta Trenta…

I litigi sono contingenti. Con gli americani bisogna avere uno sguardo di medio-lungo termine. Trump è un presidente forte e probabilmente sarà rieletto, ma la collaborazione fra Italia e Stati Uniti va oltre la singola amministrazione o il recente dibattito sugli F-35.

Si parla anche di politica estera. Libia al centro?

Non dovremmo più aspettarci un aiuto americano in Libia. Possiamo semmai chiedere una copertura politica per eventuali iniziative nella regione che scomodino gli interessi di altri Paesi. La stessa cautela andrebbe usata per la Siria.

Cioè?

Non escludo che l’amministrazione Usa ci chieda di inviare nuove forze. Dobbiamo essere estremamente prudenti in sede di valutazione delle nostre missioni internazionali e andare dove è interesse nostro e degli alleati.

Quindi è d’accordo con i Cinque Stelle, bisogna sfoltire le missioni?

Mi limito a dire che non tutte le missioni sono strategiche.  La missione in Niger, ad esempio, si è mostrata infattibile, perché i giochi nella regione erano retti da altri Paesi. Abbiamo una grande eccellenza nell’addestramento e nell’inquadramento che non richiede di inviare contingenti.

Stringere il legame con gli Usa può dare una mano all’Italia in vista dello scontro con l’Ue?

È sicuramente una leva negoziale in più per giocare la partita europea. Si prospetta un autunno caldo cui si aggiungerà il no-deal Brexit il 31 ottobre. Sapere di avere la copertura politica del Paese finanziario più grande al mondo non è un dato indifferente.

Rimane un ostacolo: la Cina. I gialloverdi sembrano non voler ascoltare i moniti Usa.

Il dossier cinese è il più importante. Salvini può ribadire che il nostro interesse nazionale ci spinge ad avere rapporti commerciali con i cinesi ma non a discapito della sicurezza nazionale e di settori strategici come il 5G.

Intanto Huawei è in corsa per l’implementazione della rete.

Su Huawei servirebbe una posizione di politica industriale comune a tutta l’Ue, invece di tante parole vuote. Le aziende americane ed europee nel settore segnano un oggettivo ritardo. Non si tratta dunque solo di sbarrare la strada ai cinesi, ma di spingere sull’acceleratore per colmare il gap del settore.



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