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Consiglio d’Europa, effetto domino contro i russi. Via anche Polonia e Paesi baltici

Terremoto nel Consiglio d’Europa. La riammissione della delegazione parlamentare russa nell’assemblea di Strasburgo, la prima e più grande organizzazione umanitaria europea creata nel dopoguerra con una membership di 47 Stati, ha innescato un vero e proprio effetto domino sulle altre delegazioni, divise a metà fra chi, come quella italiana, ha caldeggiato il ritorno dei parlamentari della Duma e chi, come Ucraina e Paesi dell’Europa centro-orientale, ha alzato le barricate. La polemica imperversa proprio mentre a Bruxelles il Consiglio Ue ha confermato la decisione del Consiglio europeo del 20-21 giugno di prorogare di altri sei mesi le sanzioni economiche al governo russo.

Espulsi dall’emiciclo nell’aprile del 2014 a seguito dell’annessione della Crimea e dell’esplosione della crisi nel Donbass, i deputati del Consiglio d’Europa hanno ripreso il loro posto questo martedì mattina grazie a una risoluzione votata in una seduta fiume la notte di lunedì con il favore, fra gli altri, di Francia, Germania e Italia.

LA DIFESA DEL GOVERNO ITALIANO

Il voto unanime a favore della delegazione italiana ha colto di sorpresa la diplomazia ucraina. “Una delusione”, ha sentenziato l’ambasciatore in Italia Yevhen Perelygin intervistato da Formiche.net. “Ritenevamo opportuno il reintegro della Russia nel Consiglio d’Europa sia per il bene dell’Organismo (a rischio a causa del taglio dei contributi russi) sia per assicurare la preservazione dei meccanismi di monitoraggio e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in Russia” – precisa un’alta fonte diplomatica del governo – “La decisione è stata assunta a maggioranza dei membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e quindi non è dei Governi (che pure a maggioranza avevano creato le condizioni per tale voto)”.

EFFETTO DOMINO

La prima delegazione a puntare i piedi contro il ritorno dei russi abbandonando i lavori dell’aula è stata quella ucraina (qui l’approfondimento di Formiche.net), seguita da quella georgiana. Oggi un altro corposo drappello di parlamentari si è unito alla protesta contro il “reintegro incondizionato dei delegati russi”. Guidati dal vicepresidente polacco del Consiglio d’Europa Wlodzimierz Bernacki (Diritto e giustizia-PiS), i delegati lituani, lettoni, estoni, polacchi e slovacchi hanno abbandonato l’aula alla volta dei rispettivi Paesi per consultarsi con i ministeri degli Esteri e i partiti politici di appartenenza.

LE RAGIONI DEL REINTEGRO

La riammissione dei russi, partita su proposta della delegata belga Petra de Sutter ma secondo gli ucraini orchestrata dalla delegazione tedesca, potrà forse ridare all’istituzione un po’ di sollievo finanziario. Nel 2017, a tre anni dall’espulsione, il governo di Mosca aveva infatti sospeso il finanziamento da 30 milioni di euro del Consiglio d’Europa costringendo l’istituzione alla spending review. Difficile invece che le acque si calmino sul versante politico. Per i Paesi proponenti, Italia in testa, continuare a escludere la Russia dal consesso dei 47 Stati membri avrebbe irrimediabilmente delegittimato l’istituzione. Di tutt’altro avviso il gruppo di obiettori capitanato dall’Ucraina, che accusa il Cremlino di aver sempre ignorato le risoluzioni del Consiglio su Crimea e Donbass.

L’EUROPA DIVISA IN DUE BLOCCHI

“Si ripropone la spaccatura Est-Ovest dell’approccio europeo alla Russia – spiega a Formiche.net Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice presso il Centro su Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi (Istituto di studi di politica internazionale) – da una parte Paesi baltici e dell’Europa centrale si fanno promotori di una postura più assertiva, dall’altra i Paesi fondatori dell’Ue e mediterranei che promuovono un approccio più flessibile”.

Il Consiglio d’Europa è un organismo con funzioni meramente consultive e l’impatto esterno dei sommovimenti interni all’emiciclo non va certo sopravvalutato. Detto questo, dice la ricercatrice, il reintegro della delegazione russa rischia di riportare in vita divisioni e diffidenze sopite. È il caso della Georgia: “recentemente ci sono state proteste di piazza importanti contro Mosca, a più di dieci anni dal conflitto di agosto il sentimento antirusso è ancora vivo”. Il dossier russo ha diviso il Consiglio d’Europa da ben prima dello scoppio della crisi ucraina, aggiunge l’esperta, “il tema dei diritti umani è da sempre motivo di contesa”.

LE SFIDE DELLA NUOVA PRESIDENZA

Con l’escalation di tensioni interne all’assemblea dovrà fare i conti la nuova presidente Marija Pejčinović Burić, ministro degli Esteri della Croazia (abbandonerà la carica) eletta questo mercoledì sconfiggendo il belga Didier Reynders. Non sarà facile gettare acqua sul fuoco. “Le relazioni fra Croazia e Russia non sono certo quelle che intercorrono con la Serbia – spiega Tafuro – le divisioni religiose e le ferite storiche della II Guerra Mondiale non ne fanno un Paese amico di Mosca”.

INDIGNAZIONE BIPARTISAN

L’indignazione per il ritorno dei parlamentari russi è bipartisan almeno quanto il fronte che ha caldeggiato l’operazione. Andrej Zubov, storico e intellettuale russo, già professore all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, non lesina durissime critiche alla decisione del Consiglio. “È stato molto più di un errore – confida ai nostri microfoni – la Russia non ha soddisfatto alcun paragrafo delle sette risoluzioni sull’aggressione dell’Ucraina”. “Il 14 dicembre 1939 – continua lo storico – l’Urss venne espulsa dalla Lega delle Nazioni per l’aggressione contro la Finlandia. L’aggressione contro l’Ucraina è forse un reato minore? L’errore di questa assemblea umilia e divide l’Europa, e rischia di trasformarsi in un crimine”.



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