“Siamo veramente delusi”. Yehven Perelygin, ambasciatore d’Ucraina in Italia, è un fiume in piena. Non riesce a spiegarsi perché il Consiglio d’Europa abbia votato una risoluzione a favore del rientro della delegazione russa nell’emiciclo. Né comprende perché per questa “decisione di pace” abbia votato “anche la delegazione dei parlamentari italiani”. “Per i membri dell’Assemblea ormai i valori democratici non sono più una questione di identità europea”, spiega ai microfoni di Formiche.net. Facendosi portavoce di una frustrazione che ha manifestato in modo ben più evidente l’intera delegazione parlamentare ucraina a Strasburgo, quando la mattina di martedì ha deciso di abbandonare l’aula in segno di protesta.
I FATTI
Nella notte di lunedì 24 giugno l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha votato a favore di una modifica al regolamento che ha interrotto la sospensione dei parlamentari russi dai lavori del Consiglio, in vigore dall’aprile del 2014, quando la delegazione del Cremlino fu allontanata con un voto a maggioranza in risposta all’annessione della Crimea e alla crisi nel Donbass. Nel 2017 la Russia aveva deciso di tagliare i fondi destinati al Consiglio infliggendo alle sue casse, scrive La Stampa, un danno da 60 milioni di euro (il budget annuo è di circa 330 milioni di euro). Il testo, anticipato da un rapporto della senatrice belga Petra de Sutter, ha permesso ai parlamentari russi di riprendere posto nell’emiciclo e nelle commissioni a partire da martedì.
LA BATTAGLIA IN COMMISSIONE
Il muro a muro non si è fermato nel plenum. È continuato martedì nelle due commissioni del Consiglio, quella per il regolamento e quella per il monitoraggio. Lì, raccontano i parlamentari italiani che vi hanno preso parte, è andata in scena una vera “lotta con il coltello fra i denti” fra i delegati, ucraini in primis, che hanno chiesto la contestazione delle credenziali russe e i colleghi che hanno voluto confermare la decisione dell’aula. Fra stalli, pareggi e comportamenti “ai limiti delle previsioni regolamentari”, la riammissione della delegazione russa è infine stata rimessa alla ratifica dell’assemblea questo mercoledì.
CHI C’È DIETRO IL VOTO
Il Consiglio d’Europa è la prima istituzione europea creata nel secondo dopoguerra. È un organismo dotato per lo più di funzioni consultive, composto dalle delegazioni di 47 Paesi in rappresentanza di quasi 800 milioni di cittadini. Il voto di lunedì, che oltre all’Ucraina ha incontrato la netta opposizione dei Paesi Baltici, del Regno Unito e della Georgia, ha un significato politico non indifferente. Secondo fonti diplomatiche ucraine sentite da Formiche.net a prendere l’iniziativa sarebbe stata in particolare la delegazione tedesca. L’indiscrezione non sorprende. In molti fra gli osservatori hanno notato un recente riavvicinamento del governo federale al governo russo, con buona pace delle dure dichiarazioni pubbliche della Cancelliera Angela Merkel sulla vicenda della Crimea. Un riposizionamento che trova supporto in una parte della classe industriale tedesca che ha sostenuto fin dall’inizio la rimozione delle sanzioni Ue contro Mosca.
LE MOSSE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA
Anche l’Italia però ha detto la sua. E lo ha fatto cantando all’unisono e ritrovando nell’assemblea di Strasburgo un’intesa bipartisan sconosciuta nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama. Il voto a favore della delegazione è stato unanime, rivendica il presidente e deputato M5S Alvise Maniero. “È stato un grande lavoro di squadra”, dice. “Il tema dei rapporti fra Ucraina e Russia monopolizza da sempre il Consiglio d’Europa. Con la risoluzione votata lunedì sera non vogliamo assolutamente sminuire la gravità dei fatti che hanno portato alla sospensione dei parlamentari russi, anzi. Crediamo però che l’unico modo per ottenere risultati sia dialogarci, buttare fuori una delegazione che rappresenta 140 milioni di cittadini indebolisce l’intera assemblea”. E alle obiezioni degli ucraini, che accusano la Russia di avere ignorato in questi anni le numerose risoluzioni del Consiglio d’Europa sulle violazioni del diritto internazionale in Crimea, Maniero risponde: “È innegabile che molte richieste dell’assemblea siano ancora da attuare da parte russa, ma chi pensa che cacciando i russi ci farà fare un passo in avanti sul tema dei diritti lgbt o la questione dei 24 marinai ucraini prigionieri (arrestati dalla Marina russa nello Stretto di Kerch lo scorso 25 novembre, ndr) si sbaglia di grosso”. Gli fa eco la forzista Deborah Bergamini, veterana del Consiglio con dieci anni di esperienza alle spalle. “La scelta della delegazione ucraina di abbandonare l’assemblea mi sembra singolare – dice a Formiche.net – la decisione è stata presa a maggioranza, allora è inutile parlare di democrazia”. Gli scontri in seno al Consiglio, spiega, “sono all’ordine del giorno, ma con il muro contro muro non si ottiene nulla”.
LA DELUSIONE DELL’AMBASCIATA UCRAINA
Di tutt’altro avviso l’ambasciata ucraina a Roma, che non si capacita della decisione italiana. “Permette alla Russia di tornare senza aver rispettato alcuna previa decisione di quella “pace” che la obbligava a rispettare i diritti di tartari e ucraini nei territori occupati, rilasciare i prigionieri politici ucraini, ritirare i suoi militari dalle zone occupate” spiega l’ambasciatore Perelygin ai nostri microfoni. Il Consiglio, sentenzia il diplomatico, “si è fatto umiliare e si è chinato davanti al più forte (e il più ricco) facendo prevalere il diritto della forza sulla forza del diritto, rinnegando se stesso e i suoi principi”.
L’INCONTRO MANCATO CON LA DELEGAZIONE…
L’ambasciata considera “un’ingenuità” il voto della delegazione italiana. Filtra in particolare la delusione per la richiesta di un incontro con i parlamentari in partenza per Strasburgo per uno scambio di opinioni che però ha ricevuto una risposta molto tardiva e quindi non più utile allo scopo. “La loro motivazione è che i russi devono avere una tutela in questo organismo – confida una fonte della missione a Roma che preferisce l’anonimato –ma i cittadini russi non hanno alcuna tutela in patria perché la Russia applica selettivamente le decisioni degli organismi internazionali di cui fa parte e si fa beffe della Cedu e del Consiglio d’Europa”.
E CON MATTEO SALVINI
La delusione fa il paio con la frustrazione che i diplomatici ucraini a Roma manifestano da tempo nei confronti della maggioranza di governo gialloverde, assai più sensibile alle richieste dei diplomatici russi a Villa Abamelek. Con Luigi Di Maio i rapporti sono migliorati. A inizio giugno ha ricevuto al Mise l’omologo ucraino Stepan Kubiv, in visita a Roma per il Business forum Italia-Ucraina. Vani i tentativi di richiedere all’altro vicepremier, Matteo Salvini, un incontro con l’ambasciatore. “Ci proviamo da un anno – sospirano dall’ambasciata – ormai ci abbiamo rinunciato”.