Nel cambiamento portato dalla rivoluzione digitale, uno spazio non irrilevante è occupato dalla relazione tra potere e algoritmi, in grado di incidere sugli equilibri socio-economici e su quelli geopolitici. Big data e tecnologie di apprendimento automatico rappresentano sia un’opportunità sia una sfida piena di rischi. Per analizzare questo mutamento (e proporre soluzioni) è nata la piattaforma “Digital Policy Council”, lanciata il 17 giugno alla Camera dei Deputati durante il convegno “Gli Algoritmi al potere. Scenari geopolitici, economici e regolamentari”. Del progetto, che “cerca di rispondere proprio alla necessità di elaborare nuove forme di partenariato tra vari stakeholder al fine di creare proposte normative e indicazioni strategiche di alto valore per rafforzare il ruolo del nostro Paese”, parla a Formiche.net Valerio De Luca, direttore della piattaforma Digital Policy Council e presidente dell’Aises.
Quali sono gli obiettivi della piattaforma?
La piattaforma intende mettere insieme tutti gli stakeholder e i protagonisti della trasformazione digitale in atto. Parliamo di governi, aziende, società civile, centri di ricerca, think thank, per ripensare insieme tutta una serie di modalità e di visioni strategiche che riguardano i diversi settori delle tecnologie. Soprattutto in una chiave di grande collaborazione tra le diverse istituzioni anche internazionali. C’è bisogno di un partenariato pubblico-privato che non riguardi solo i governi e le aziende, ma anche i centri di ricerca e i think thank. Una delle attività che svolgerà questa piattaforma è proprio quello di costruire degli spazi di discussione e di supporto soprattutto per i policy maker, al fine di rilanciare una serie di spunti di riflessione, ma anche di sostegno e di decisioni strategiche. Non siamo un think thank, è una piattaforma permanente, a breve procederemo alle nomine per poi sviluppare tutta una serie di iniziative a partecipazione mista.
Come sta cambiando la società con i colossi del Web e gli algoritmi?
Dipende tutto da noi stessi, dalla consapevolezza dei cambiamenti in atto e dalla nostra cultura del digitale. Ognuno di noi appartiene a diverse piccole società, come la famiglia, la scuola o il lavoro nel quale siamo noi a dover portare questo know-how. Gli algoritmi sono delle tecnologie neutrali, come cambia la società in virtù di essi dipende da quanta consapevolezza abbiamo noi sul loro utilizzo. Se noi siamo consapevoli che cedere dei dati gratuitamente abbia un valore per le aziende, se siamo consapevoli dei nostri diritti, come quello alla privacy, se sappiamo che quando si naviga qualsiasi nostra scelta fornisce dei dati, dalla sanità alla mobilità, e che queste informazioni portano a delle decisioni, allora sarà nostra premura gestire il tutto con maggiore interesse su tali questioni. Questo vale sia a livello interno sia internazionale.
Si parla molto – e lo si è fatto anche durante il convegno che avete organizzato alla Camera – dei rischi che comporta la partecipazione di aziende straniere alla gestione di dati sensibili.
Ci sono attacchi latenti e spesso non dichiarabili, né da chi li attua, né da chi li subisce per paura di affondare la propria immagine. La cyber war e la cyber defense rappresentano un cambio di paradigma, perché viene reso impossibile capire chi ha attaccato cosa. Nel mio intervento, durante la presentazione della piattaforma Aises “Digital Policy Council” nel corso della conferenza “Algoritmi al Potere”, ho affermato a più riprese che c’è bisogno di una fuga in avanti del pensiero. Da qui la necessità di connettere pubblico e privato.