Che il fuoco amico sia sempre da aspettarselo in casa pentastellata, è evidente. Che esso si manifesti ora al massimo livello anche in casa leghista, è indubbiamente una novità. Che segnala, almeno in prima istanza, che, da una parte, la leadership di Matteo Salvini riesce a imporre coesione al partito ma solo fino a prova contraria, e, dall’altra, che sulla politica economica ci sono ampie divergenze fra coloro che vogliono arrivare alla rottura con l’Unione Europea e altri che più realisticamente considerano i reali rapporti di forza e le conseguenze ultime di un braccio di ferro da uno contro tutti.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, appartiene sicuramente a questa seconda corrente realista, ma che, conosciuto come uomo pacato e riflessivo, arrivasse a screditare il suo collega di partito, nonché presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, è davvero sorprendente. È chiaro che la questione dei mini-bot sia anche strumentale, una sorta di “cavallo di battaglia” con cui gli economisti leghisti hanno cercato di scardinare il rigido sistema politico-economico imperniato attorno all’euro e a noi molto sfavorevole. Probabilmente essi sono irrealistici, e forse anche inutili, ma finora tutti nel partito erano stati al gioco che serviva proprio a marcare le differenze con chi è per la trattativa a ogni costo e a mostrare che nella resistenza ai diktat europei la Lega era disposta ad andare fino in fondo.
Da Matteo Salvini a Borghi, da Alberto Bagnai (l’omologo di Borghi al Senato) a Antonio Maria Rinaldi (fresco eurodeputato), fino allo stesso Giorgetti (almeno fino a qualche giorno fa), tutti avevano tenuto dritto la barra. Ma allora perché Giorgetti ha rotto il fronte? E soprattutto perché è arrivato a dire che non bisogna fidarsi di Borghi (anche se poi ha precisato che si trattava solo di una battuta)? Le ipotesi sono molteplici, ma l’unico elemento certo è che egli ha più volte fatto presente negli ultimi tempi che è meglio staccare la spina al governo e puntare alle elezioni anticipate.
L’uscita di ieri è collegata a questa sua posizione, che trova scettico lo stesso Salvini? Oppure, è semplicemente un atto concordato con il leader leghista e volto a mandare un messaggio di realismo a Bruxelles, per giocarselo poi sul tavolo sia della trattativa per evitare la procedura di infrazione sia in quella per la nomina dello stesso Giorgetti a commissario europeo. Lo stop and go fa parte dei negoziati, come ci ha insegnato Donald Trump. Tanto più quando le trattative si svolgono su tavoli diversi e sono complicate e intrecciate come quelle che sono in corso fra Roma e Bruxelles. Ma perché mettere in mezzo Borghi, e dare all’esterno una immagine di scarsa coesione che certamente non giova in questo momento alla Lega? Ogni risposta è plausibile e congetture e previsioni sono molto difficili. Si vive alla giornata.