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La centralità di Giorgetti, il traduttore istituzionale

È probabilmente l’unico esponente di questo governo a poter dichiarare pubblicamente di essere accusato di essere servo dei poteri forti, e a non patirne alcuna conseguenza. È la forza di Giancarlo Giorgetti sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma ormai sempre più elemento rappresentativo dell’alleanza gialloverde. L’uomo in grado di incassare la storica conquista delle Olimpiadi invernali del 2026, gomito a gomito con l’establishment della cosiddetta vecchia politico, nonché il riferimento istituzionale dell’esecutivo. In una parola: leader. E poco importa se questa etichetta dipende anche dalle altrui insufficienze.

UN RIFERIMENTO ISTITUZIONALE

Giorgetti è sempre di più un riferimento per gli altri attori della politica. Lo è anche e soprattutto per Sergio Mattarella. È considerato interlocutore affidabile, serio. È lui che oggi viene citato nel tradizionale appuntamento di Francesco Verderami sul Corriere della Sera. Ed è lui che rilascia dichiarazioni in linea con il protocollo della politica. Senza scarti improvvisi. “In caso di crisi il Capo dello Stato avrebbe un atteggiamento lineare”. Nessuna allusione, pieno rispetto dei ruoli. È lui che spiega ai suoi tempi e modi della gestione del post-elezioni. C’è un tempo per mandare il governo a casa e ottenere dal Quirinale il via libera per le elezioni. E c’è un tempo in cui questo non sarebbe più possibile: perché ci sarà da votare la Finanziaria. La frase che va oltre il protocollo è comunque una frase corretta nella sostanza sia pure non nella forma: “Perciò non rompiamo le scatole a Mattarella”.

TRADUCE LINGUAGGI DIVERSI

È, oggi, l’insostituibile trait d’union istituzionale. Traduce diversi linguaggi, non soltanto in Italia, e fa sì che mondi piuttosto distanti si comprendano. E non va nemmeno oltre le proprie – in realtà già gravose – competenze. Colpisce Giorgetti perché in nessun caso cade nel tranello di dare la linea, di eccedere i propri compiti. È netto soltanto quando parla di sé e si chiama fuori dalla corsa a commissario europeo. “Non sono interessato e probabilmente non sono nemmeno attrezzato a farlo”. È in questa occasione che si definisce servo dei poteri forti, quando non nasconde il proprio avallo al nome di Mario Draghi.

È fedele fino in fondo al ruolo di tessitore di questo governo. Il cucitore. I leader politici sono Conte, Di Maio e Salvini, tocca a loro tre – spiega negli studi di Sky, intervistato da Maria Latella – riunirsi e decidere il da farsi sulla flat tax. E – aggiunge – devono poi dirlo agli italiani.

NON DEBORDA DAL PROPRIO PERCORSO

Nemmeno sulla Sea Watch deborda dalle proprie competenze. Non si lascia andare più di tanto  neanche quando parla di Carola pur definendola signorina. “È stata arrestata giustamente questa signorina che ha messo a rischio la sua vita e quella di chi cercava di far rispettare la legge. Una sua eventuale espulsione sarà valutata dalle autorità competenti”. Ovviamente con tanto di risposta diretta all’Olanda.

È il profilo istituzionale il percorso che Giorgetti si è dato e che si ritrova a seguire praticamente indisturbato in questo governo. Non ha timore di definire improbabile un negoziato con Atlantia per Alitalia. Può consentirsi di far finta di non sapere dello scontro tra Salvini e Di Maio su Atlantia.

In questo particolare momento, sa di essere l’unico ad avere un profilo non partigiano. E sa che ce n’è bisogno. L’esultanza lunedì scorso, a Losanna, ha definitivamente promosso sul campo il diplomatico Giorgetti. Leader, o se volete risorsa del Paese. Per qualcuno, più astioso, lo è diventato anche per mancanza di concorrenza. Dicano quel che vogliono, la realtà è la centralità di Giorgetti. Una centralità conquistata sul campo. E ogni giorno di più esibita senza alcuna ostentazione.    

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