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Haftar perde terreno a Tripoli. Come reagiranno i suoi sponsor?

Negli ultimi due giorni le truppe di Misurata che sono intervenute in difesa del Governo di accordo nazionale libico – il Gna, l’esecutivo onusiano guidato da Fayez Serraj – hanno riconquistato Gharyan, l’altopiano a sud di Tripoli che faceva da snodo logistico per le forze che il signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, ha lanciato a inizio aprile dalla Cirenaica per conquistare la capitale, prenderne il controllo e intestarsi il processo futuro del Paese come una sorta di nuovo rais.

STALLO DELLA GUERRA CIVIILE

È l’evento sul campo più importante nel corso di questi tre mesi di guerra – che ha prodotto già settecento morti, mentre Haftar prometteva ai suoi che sarebbe stata una passeggiata trionfale per le vie tripoline. La battaglia era in stallo, una guerra civile di posizione dove nessuno sembrava in grado di sovrastare l’altro, ma le informazioni che arrivano da una decina di giorni dalla Libia sembrano trovare conferme: i miliziani di Haftar sono scoraggiati, spazientiti, stanchi, hanno abbandonato le posizioni e permesso alle forze di difesa di Tripoli di sfondare il fronte.

LE MOSSE DI HAFTAR

L’azione è stata possibile anche perché Haftar (che già in passato non ha dimostrato doti da stratega militare: vedi la guerra in Ciad, per cui era stato costretto a fuggire da Gheddafi) aveva spostato le sue truppe verso l’aeroporto internazionale, lo scalo inutilizzato nell’hinterland meridionale che è stato al centro dei movimenti negli ultimi giorni. A sorpresa, invece, i misuratini si sono mossi in contropiede trovando scoperto le forze dell’autoproclamato Feldmaresciallo – lontane centinaia di chilometri dal cuore nevralgico nell’Est – e hanno proceduto riconquistando anche aree limitrofe.

LE PAROLE DI SERRAJ

Serraj ha parlato di “liberazione” di Gharyan, l’inizio delle operazioni per schiacciare gli haftariani, “bonificare” le aree intorno a Tripoli e risolvere la crisi creata dal “tentato colpo di Stato”. Sono dichiarazioni necessarie per riaffermare una minimo di presa sul Paese dopo che da settimane si parla di un premier indebolito, su cui molte delle diplomazie internazionali che lo hanno sostenuto al fianco dell’Onu hanno iniziato ad avere qualche dubbio.

IL MISSILE AMERICANO

Oggi un miliziano del Gna, un misuratino, ha mostrato su Twitter la foto di almeno un sistema anti-carro Javelin, ossia un lanciamissili di produzione americana, sequestrato alle forze haftariane a Gharyan. Probabilmente è un armamento che è stato passato ai miliziani della Cirenaica (e alle loro stanche filiali orientali) dagli Emirati Arabi, che ne hanno comprati diversi dagli Usa. Si tratta di un’arma non facile da utilizzare e si suppone che possa essere maneggiata dai libici tramite qualche assistente esterno sul campo. Non è di certo una grande pubblicità per nessuno (Usa, Emirati e Haftar come ultimo responsabile) aver perso un pezzo di quel calibro. Uno dei comandanti delle forze misuratine sul campo ha detto sempre oggi che i suoi uomini hanno visto militari occidentali lasciare il comando di Gharyan a bordo di sei fuoristrada durante i combattimenti di mercoledì. Nei giorni scorsi il Washington Post ha raccontato della vicenda che ha coinvolto un americano: era un ex tecnico della Guardia nazionale ingaggiato dai misuratini come pilota. Il suo aereo era stato abbattuto e gli haftariani lo avevano catturato. In un video si era presentato come un portoghese. Una volta liberato, è stata ricostruita la sua storia.

GLI AIUTI ESTERNI

La presenza di aiuti esterni è un dato di fatto nel conflitto per entrambi i fronti. Ieri l’account Twitter @Obs_IL ha geolocalizzato l’arrivo, a metà maggio, di alcuni mezzi blindati turchi in un porto di Tripoli. Qatar e Turchia stanno fornendo assistenza militare alle milizie della Tripolitania, Emirati ed Egitto alle forze di Haftar: è la dimensione proxy dello scontro libico, su cui sfocia la competizione interna al mondo sunnita. La presa di Gharyan può essere un fattore game-changer sul campo: può portarsi dietro un aumento degli aiuti da parte dei sostenitori haftariani; ma è anche una dimostrazione di poca consistenza del Feldmaresciallo che può dissuadere i suoi sponsor a scegliere altre strade, magari pressing politici più che una campagna armata.

LE PAROLE DELLA RUSSIA

Oggi l’agenzia stampa russa Sputnik, che rilancia le linee del Cremlino, pubblica un commento di Lev Dengov, che guida il Gruppo di contatto russo sulla Libia: “Non vedo la logica nelle azioni di Haftar. Se vuole risolvere oggi la crisi libica con mezzi pacifici, perché conquistare Tripoli? Questa è una domanda che vorrei porre relativamente all’iniziativa che ha presentato”. Dengov parla della proposta haftariana di condurre una conferenza sulla riconciliazione nazionale dopo la conquista della capitale Tripoli.

Una strada simile a quella che voleva intraprendere l’Onu, interrotta dall’aggressione a Tripoli, e rilanciata una decina di giorni fa da Serraj. Per Haftar però il percorso è reso improbabile dall’uso della armi. Mosca è stato uno dei Paesi che in passato ha dato sostegno politico e probabilmente assistenza militare indiretta tramite contractors ad Haftar.

Di Libia si è parlato anche in Italia. Il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, ha definito Haftar “un interlocutore imprescindibile” per “un dialogo inclusivo” verso un percorso futuro, ma ha chiesto di “far tacere le armi” ed “evitare di alimentare il conflitto dall’esterno”. La Farnesina ha ospitato l’inviato dell’Onu, Ghassan Salamé, che ha parlato di come la pace in questo momento non sia più un tabù: “Sono contento di vedere che vari gruppi parlano di iniziative politiche. È difficile dire che ci siano le condizioni per le elezioni in Libia, ma il solo fatto di parlarne è importante”. Moavero ha anche detto che quelli libici non possono essere considerati “porti sicuri”: un’affermazione che inquadra la situazione d’instabilità nel paese, ma che è destinata ad aver ripercussioni sul dossier immigrazione.

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