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Tutti gli intrecci tra Huawei e l’Esercito cinese svelati da Bloomberg

Intelligenza artificiale, ma anche comunicazioni radio. Settori nei quali tra i dipendenti del colosso tecnologico cinese Huawei e l’Esercito popolare di liberazione ci sarebbe stata un’ampia collaborazione in almeno dieci progetti di ricerca negli ultimi 10 anni. Un quadro respinto dal gigante di Shenzhen – che dice di essere concentrato esclusivamente su soluzioni civili da vendere in giro per il mondo e di non essere al corrente di ricerche pubblicate dal suo personale a titolo individuale – ma che trovano riscontro in un’inchiesta dell’agenzia Bloomberg basata su pubblicazioni periodiche e database di ricerca online usati da accademici e specialisti del mondo industriale, nei quali questa cooperazione viene ampiamente citata.

L’INFOSHARING DEI FIVE EYES

Mentre impazza uno scontro tech dai contorni ormai globali tra Washington e Pechino, sulla compagnia cinese si addensano dunque nuove ombre, che secondo alcuni osservatori confermerebbero in parte quanto evidenziato in precedenza dal Times, che – riportando una informazione condivisa già all’inizio dell’anno dagli Usa con il Regno Unito e gli altri partner dell’alleanza di intelligence anglofona Five Eyes, della quale fanno parte anche Australia, Canada e Nuova Zelanda – aveva scritto che Huawei avrebbe ricevuto finanziamenti dagli apparati per la sicurezza dello Stato, in particolare dall’Esercito popolare di liberazione, ma anche dalla Commissione per la sicurezza nazionale e da una terza agenzia della rete dell’intelligence di Stato. Circostanze alle quali si legherebbero anche i dubbi sollevati in una ricerca realizzata da Donald Clarke della George Washington University e Christopher Balding della Fulbright University Vietnam, che analizzando la complessa struttura societaria di Huawei ha sollevato dei dubbi sul fatto che l’impresa – formalmente privata come sostiene la stessa telco di Shenzhen – possa essere legata, finanziata o addirittura controllata dal governo di Pechino.

DUBBI DATATI

In realtà, dei possibili legami tra la compagnia cinese ed entità governative si discute da tempo. Innanzitutto perché il suo fondatore, il settantaquattrenne ingegnere Ren Zhengfei – padre della numero due e direttrice finanziaria del colosso cinese, Meng Wanzhou, arrestata in Canada su richiesta di estradizione Usa per violazione delle sanzioni all’Iran e frode bancaria – ha servito in gioventù nell’Esercito popolare di liberazione. Ben prima che la Giustizia americana sollevasse nei confronti di Huawei l’accusa di furto industriale e spionaggio, e che l’amministrazione americana la inserisse in una lista nera del Dipartimento del Commercio, già nel 2012 (nello Studio Ovale sedeva Barack Obama), al Congresso la Commissione Intelligence paventò il rischio che la telco asiatica potesse essere il ‘cavallo di Troia’ di Pechino per penetrare nelle telecomunicazioni globali.
Un dubbio che non ha mai abbandonato Washington e che oggi ha raggiunto la massima allerta in concomitanza con lo sviluppo delle reti mobili ultraveloci di nuova generazione: il 5G.

L’ATTENZIONE AL 5G

Gli Usa hanno a più riprese messo in guardia i Paesi partner che affidarsi a tecnologia di Pechino – in particolar modo nello sviluppo del 5G – potrebbe influire sulla capacità americana di condividere informazioni di intelligence con gli alleati. La Casa Bianca teme infatti che – anche a causa di queste ombre, alle quali si sommano vulnerabilità riscontrate nei loro dispositivi – i giganti tech cinesi (la già citata Huawei, ma anche Zte, a controllo statale) possano diventare strumenti di spionaggio della Repubblica Popolare, anche in virtù di una legge sull’intelligence che obbliga le aziende cinesi a collaborare con il proprio Paese. Inoltre, la rete 5G comporterà notevoli cambiamenti, connetterà una vasta moltitudine di dispositivi e per velocità supererà in prospettiva di 100 volte quella attuale delle reti 4G. Per gli Usa sarebbe quindi un rischio dare alla Cina l’ipotetica possibilità di poter “spegnere” infrastrutture strategiche o l’erogazione di servizi. Anche perché, ha rilevato Washington, per le caratteristiche tecnologiche che contraddistinguono il 5G, a differenza del passato operare differenze tra parti ‘core’ (da salvaguardare) e altre componenti potrebbe non essere sufficiente per limitare i rischi di sicurezza associati alle nuove reti mobili ultraveloci.

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