Strana la politica industriale in Italia. C’è uno stabilimento in crisi, che magari è la più grande acciaieria d’Europa, tipo Ilva, arriva un gruppo straniero, che magari è il primo produttore di acciaio al mondo, partecipa a una gara, la vince e acquisice il sito. Poi, dopo qualche mese, qualcosa va storto. Colpa della politica? Della congiuntura astrale? Forse più della prima. Il perché è presto spiegato.
IL PASTICCIO GIALLOVERDE
Succede questo, e cioè che, come ricorda oggi il Corriere della Sera, il destino del più grande stabilimento siderurgico d’Europa è finito nel tritacarne del contenzioso tra 5 Stelle e Lega. Nella giornata di ieri, infatti, prima è stata approvata con i voti della coalizione di governo la fiducia al decreto Crescita che toglie l’immunità penale ai nuovi proprietari dell’Ilva, successivamente la stessa maggioranza ha votato un ordine del giorno — il cui valore politico è tutto da dimostrare — che invita a tutelare la salute e mantenere gli impegni presi con la multinazionale ArcelorMittal. Un pasticcio che ha pochi precedenti e mostra la totale inaffidabilità del governo, che nello stesso giorno prima ha pigiato l’acceleratore e poi il freno. Significa questo: se il piano di risanamento ambientale non verrà rispettato, i nuovi titolari dell’Ilva, potranno essere imputati.
L’ILVA DI NUOVO SULL’OTTOVOLANTE
Il rischio in questi casi è di uscire di strada ovvero di condannare l’Ilva, il tutto per la faciloneria della politica. Da una parte infatti c’è il ministro Luigi Di Maio, che lunedì sarà a Taranto con 5 ministri al seguito per tentare un’operazione di recupero nei confronti del suo ex-elettorato favorevole alla chiusura dell’Ilva, dall’altra Matteo Salvini che vuole tener vivo per fini elettorali un simulacro di dialogo con gli industriali e il sindacato. Entrambi seriamente preoccupati per gli effetti che un fermo o un forte ridimensionamento di Taranto (magari con la chiusura dell’area a caldo, come si sente dire) avrebbe sull’occupazione e sulle forniture di acciaio all’industria del Nord.
LA MINACCIA DI MITTAL
Naturalmente il gruppo franco-indiano Mittal non è rimasto indifferente a tutto questo. E ha minacciato apertamente il governo: o ci saranno tutele per chi investe o ce ne andiamo. Il gruppo punta il dito contro il problema che sorgerebbe con l’approvazione del Decreto Crescita: “lo stabilimento è sotto sequestro dal 2012 – specifica ancora – e non può essere gestito senza che ci siano le necessarie tutele legali fino alla completa attuazione del Piano ambientale”