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Su Ilva il governo ha violato le regole. Perché il siderurgico tace? Il commento di Pirro

Questa mattina prima dell’incontro a Taranto in Prefettura sui problemi connessi allo stato di avanzamento del Contratto di sviluppo, il ministro Luigi Di Maio – a proposito dell’immunità penale e amministrativa per Arcelor Mittal Italia e i suoi dirigenti per la durata dell’attuazione del piano di ambientalizzazione del siderurgico Ilva, esclusa dal testo del Decreto crescita approvato alla Camera, ma non ancora al Senato – ha detto che il problema non esiste più, essendo stata eliminato tale esimente penale.

L’ASSEMBLEA DI FEDERMECCANICA

Una battuta da cabaret, si potrebbe definire quella del ministro, se il problema non fosse maledettamente serio. Venerdì scorso si è svolta a Taranto l’assemblea nazionale della Federmeccanica nello stabilimento siderurgico alla presenza del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, di quello uscente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, dell’amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia Mathieu Jehl, di Marco Bentivogli, Rocco Palombella e Francesca Re David, segretari di Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fiom-Cgil, e dell’Arcivescovo di Taranto Mons. Filippo Santoro. Assenti, anche se invitati, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e il sindaco del capoluogo Rinaldo Melucci. Tutti i partecipanti, nessuno escluso, hanno chiesto con forza che vengano rispettati gli accordi sottoscritti e che sia dato il tempo necessario ad Arcelor per la realizzazione del Piano ambientale, senza chiamarla a rispondere nel frattempo di effetti nocivi derivanti da quanto fatto o non fatto in passato per la bonifica dell’acciaieria.

LA PARTITA ILVA

Tutti pertanto abbiamo letto quanto si è detto in quell’incontro e non è il caso di ripeterlo: siamo di fronte ad una palese violazione di ciò che era stato concordato a suo tempo fra governo e Arcelor e per tale ragione, molto probabilmente, la multinazionale franco-indiana a settembre lascerà il sito – al momento solo in affitto di ramo d’azienda, sia pure propedeutico al suo acquisto – e questo aprirà la strada o alla ri-nazionalizzazione del gruppo, ammesso che l’Unione Europea la consenta, o ad un nuovo bando per la vendita – ma a questo punto è difficile prevedere la partecipazione di altri potenziali acquirenti, dopo l’inaffidabilità dimostrata in questa occasione da questo governo. Oppure si procederà alla chiusura coatta dello stabilimento: che è poi, temiamo, il vero obiettivo del Movimento 5 Stelle. Matteo Salvini, certo, ha dichiarato a sua volta che la Lega – che alle elezioni europee è stato il secondo partito in città alle spalle dei 5 Movimento Stelle – vuole il ritorno allo status quo ante violato dal testo approvato alla Camera.

CHE COSA RISCHIA L’ITALIA

Ma allora o Salvini impone con i suoi senatori il cambiamento della norma – e il decreto passa con tale modifica, per poi essere tornare alla Camera per l’approvazione definitiva, o per essere ripresentato in versione modificata – oppure la Lega e il suo leader appariranno agli occhi dell’opinione pubblica come degli instancabili cultori di vaniloquio inconcludente. Tertium non datur. La dismissione del siderurgico sarebbe una catastrofe totale per l’economia della città, della provincia, della Puglia, di Genova e Novi Ligure e un colpo durissimo all’economia del Paese, come ha dimostrato lo studio econometrico della Svimez citato su tutta la stampa specializzata (e non) in questi ultimi tre giorni. Ma allora una domanda si impone: di fronte a questa probabile catastrofe, come mai gli 8.500 addetti del siderurgico non scendono in piazza per gridare con forza che la fabbrica non si tocca, anche se la si deve bonificare come peraltro si sta già facendo? Chi scrive confessa che gli riesce incomprensibile il comportamento delle migliaia di addetti e di sindacalisti locali e nazionali di categoria.

LO SCENARIO

Vedremo pertanto nei prossimi giorni cosa succederà, ma in questa settimana si decide il destino non solo della maggiore acciaieria a ciclo integrale d’Europa, ma anche della più grande fabbrica italiana per numero di occupati. Ma è mai possibile che il suo futuro debba dipendere dalle opinioni di ministri (e parlamentari) che non hanno esperienza alcuna di siderurgia, di produzione manifatturiera, di effetti indotti e che operano soltanto sulla base di pregiudizi ideologici? Si staranno rivoltando nella tomba Oscar Sinigaglia e Pasquale Saraceno, il primo, fra i padri della moderna siderurgia italiana e, il secondo, promotore dello sviluppo della grande siderurgia a ciclo integrale nel Mezzogiorno. Le questioni sanitarie evidenziate negli ultimi anni non sono imputabili ad Arcelor che ha assunto la gestione del sito di Taranto come degli altri impianti del gruppo dal 1° novembre del 2018. Perché, allora devono correre il rischio la società e i suoi dirigenti di farsene carico penalmente?

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