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Una guerra con l’Iran? Improbabile ma… Parla Pedde (Igs)

“Non credo che questo delle due petroliere sia il casus belli per una guerra nel Golfo Persico tra Stati Uniti e Iran, perché è troppo controverso, però è una questione delicata che ci dice che c’è qualcuno che sta cercando di mettere benzina sul fuoco”, commenta Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies. “E quello che è chiaro – continua Pedde – è che chi ha da perdere più di tutti sono proprio gli americani e gli iraniani, e sia Washington sia Teheran l’hanno capito”.

“Entrambe le amministrazioni – aggiunge l’analista italiano – sembra chiaramente che vogliano evitare lo scontro, e credo che sia emerso con chiarezza quanto sia l’apparato della difesa americano che quello iraniano sono sulla stessa linea. E questo lo conferma il fatto che la marina americana nel Golfo sta comunicando in persiano con gli iraniani, ben sapendo che la responsabilità di quel tratto marino è solo dell’Irgc (i Guardiani della rivoluzione, la componente teocratica delle forze armate iraniane). È chiaro che vogliono evitare incidenti”.

Ma la linea non è univoca in mezzo agli apparati dei due Paesi, giusto? “All’interno dei due stati ci sono effettivamente componenti più interessate allo scontro: negli Stati Uniti potremmo imputare questo ruolo al falco che guida il Consiglio di Sicurezza nazionale, John Bolton“. La posizione di Bolton è stata più volte evidenziata, le sue dichiarazioni di accusa all’Iran per fatti precedenti – come il sabotaggio di altre quattro navi al largo del porto emiratino di Fujairah – è stata messa in contrasto con le parole del presidente Donald Trump, che ha tenuto toni più possibilisti riguardo a una nuova fase negoziale. E in Iran? “C’è il settore che gravita lateralmente all’industria della difesa ed è legato ai Guardiani che potrebbe avere interesse in un conflitto a bassa intensità con gli Usa e far tornare indietro le relazioni internazionali iraniane”.

“Val la pena notare anche che quello che è successo ieri è avvenuto mentre il premier giapponese Shinzō Abe era a Teheran per cercare di costruire un ponte di contatto tra Usa e Iran. E c’è da aggiungere che entrambe le navi colpite trasportavano prodotti petrolchimici, ossia appartenenti al settore finito sotto ulteriori sanzioni americane negli ultimi giorni” e che la Repubblica islamica sfrutta come asset produttivo principale dopo il re-inserimento dell’intera panoplia sanzionatoria contro l’export petrolifero iraniano”.

Ma possibile che ci sia qualcuno uscito dal controllo, magari tra i proxy iraniani? “Da quanto noto, sembra improbabile che qualcuno dei gruppi paramilitari regionali collegati all’Iran abbia potuto compiere un’azione del genere: si tratta di un’operazione militare che richiede l’addestramento che soltanto un sistema statale strutturato può dare, parliamo di incursori, commandos“.

Pedde fa notare un altro aspetto: “La catena di comando all’interno delle Irgc è piuttosto serrata con maglie a controllo multiplo che passano attraverso due canali: uno quello militare del ministero della Difesa, l’altro politico, rappresentato dall’Ufficio della Guida (il capo della teocrazia iraniana, Ali Khamenei). E non credo che in questo momento la Guida abbia qualche interesse a forzare la mano, sganciandosi da un percorso di sostegno affidato alla presidenza, sebbene Khamenei possa essere deluso dagli Stati Uniti, dall’Europa e dall’accordo sul nucleare diventato carta straccia dopo l’uscita decisa da Trump”.

Per l’analista dell’Igs dietro ai fatti che stanno segando la cronaca dal Golfo in questo periodo non sono da escludere azioni clandestine, ma è complicato comprenderne la matrice perché non ci sono elementi provanti sufficienti: “Ultimamente gli Stati Uniti forniscono molte poche prove in appoggio alle proprie dichiarazioni, si tratta quasi di un atto di fiducia sostenerle. Rispetto alle accuse all’Iran, mancano informazioni cruciali sui tipi di materiali utilizzati, sui metodi, sui reperti. Per esempio, a quanto pare sono stati condotti due attacchi diversi, una petroliera è stata colpita sulla chiglia, l’altra sopra alla linea di galleggiamento: perché?”.

Quello che è chiaro, per Pedde, è che l’interesse diretto per una guerra non sembra esserci per il momento, tant’è, fa notare, che quelli che stanno usando un atteggiamento più cauto sono proprio gli Emirati Arabi, considerati il motore delle politiche anti-Iran nel Golfo: “E questo perché pare che il principe Mahammed bin Zayed abbia ricevuto un report dal suo centro di studi strategici in cui è messo nero su bianco che un conflitto con l’Iran sarebbe devastante per l’economia e la stabilità del suo Paese”.

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