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Così Trump spinge per tener vivo il rapporto con Kim

A un anno esatto dal loro primo incontro, a Singapore, il presidente statunitense Donald Trump ha detto ai reporter raccolti alla South Lawn della Casa Bianca di aver ricevuto “una lettera bellissima” da parte del satrapo nordcoreano Kim Jong-un. Secondo l’americano, Kim “ha mantenuto la sua parola” – ossia gli impegni presi in quel loro primo faccia a faccia, che è alla base del sistema negoziale avviato dallo scorso anno per arrivare alla denuclerizzazione, restato però fermo al vertice di giugno, perché a febbraio, il secondo incontro diretto di Hanoi, s’è chiuso malamente, con un nulla di fatto che ha messo in crisi il processo. Anche prima del vertice vietnamita, quando sembrava che l’organizzazione potesse saltare, Trump disse di aver ricevuto una lettera “bellissima” da Kim.

Per Trump, il nordcoreano ha onorato i suoi impegni perché non ha effettuato test nucleari o missilistici a lungo raggio: “L’unica cosa che ha fatto è stata a breve termine, un test a corto raggio. È un affare completamente diverso”, ha detto il presidente americano riferendosi a due test effettuati ad aprile e a maggio. Poco prima delle sue dichiarazioni, il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, interveniva a un evento organizzato dal Wall Street Journal dicendo che la Corea del Nord non sta rispettando i termini concordati nell’incontro di Singapore. Secondo Bolton – e secondo il capo del Pentagono facente funzione, Patrick Shanahan – quei test sono stati anche una violazione delle risoluzioni Onu che vietano a Pyongyang di compiere prove tecniche su missili balistici).

La mancanza di coordinamento tra il presidente e il suo primo consigliere non è una novità, e in questo caso si lega al valore politico che Trump affida all’accordo con Kim. Ha scommesso molto nelle sue capacità di negoziatore per arrivare a un deal sulla denuclerizzazione nordcoreana, e un fiasco sarebbe rischioso sia in termini di consenso interno, sia a livello di immagine internazionale. Alzare i toni in questo momento, rispondendo al nervosismo con cui Kim (anche per mantenere buone le posizioni critiche nel regime) sta portando avanti le relazioni, significherebbe correre il rischio di far saltare tutto.

Ieri, durante il confronto con i giornalisti, a Trump è stato anche chiesto di commentare le notizie pubblicate da alcuni quotidiani americani riguardo i passati contatti tra la Cia e il fratellastro di Kim, Kim Jong-nam, che sarebbe stato reclutato come informatore dai servizi segreti americani prima di essere ucciso da una missione killer del regime nordcoreano in Malesia. Il presidente statunitense ha detto che con lui nello Studio Ovale “certe cose non sarebbero successe”, ed è sembrato quasi incolpare la Cia di essersi creata la possibilità di penetrare in profondità un nemico e raccogliere intelligence tra le maglie interne del regime più chiuso del mondo.

Ma d’altronde, c’è una strategia negoziale da leggere dietro certe dichiarazioni: Trump ha detto anche ieri di avere “una relazione personale molto buona” con Kim, e non vuol rischiare di destabilizzarla. Per questo sceglie di andare contro le visioni e le letture dei suoi uomini pur di mantenere aperto il canale diretto col dittatore asiatico (tant’è che, per esempio, lui lo chiama “chairman”). La vicenda di Kim Jong-nam è probabilmente stata atroce per il leader nordcoreano, che si è sentito tradito dal fratellastro – che forse era in contatto con solo con la Cia, ma anche le intel sudcoreana, giapponese e cinese – e per questo ne ha ordinato l’eliminazione. Trump lo capisce, ed evita di toccare corde sensibili – e intanto dà una spallata alla precedente amministrazione democratica, incolpandola davanti agli occhi del pubblico distratto, ancora assetato di rivalsa, di qualcosa che invece era un successo strategico (uno dei vari pezzetti del puzzle verso le prossime presidenziali).

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