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A Sant’Egidio il messaggio di pace di Mourad, il monaco sequestrato dall’Isis

“Cominciava l’ottavo giorno di detenzione. Quando ho visto un uomo completamente vestito di nero, solo gli occhi scoperti, seguito da tre individui armati, entrare nella toilette che fungeva da mia prigione: mi sono detto che era arrivato il momento, era la fine, quell’uomo mi avrebbe decapitato di lì a breve. E invece lui mi ha teso la mano, stringendo la mia. A quel punto il quadro è completamente cambiato. Non esiste, non è data la possibilità che un capo dell’Isis stringa la mano di un prete cristiano. Non è un’ipotesi che può essere presa in considerazione. Lui invece mi ha detto di sedermi, ha invitato i tre armati a lasciarci soli e poi mi ha chiesto come stessi. Quindi ha usato un vocabolo che non avrei mai immaginato di sentire in quel contesto. È una parola che possiamo tradurre con “ritiro spirituale”. Sì, mi ha detto di prendere quel tempo che avrei trascorso con loro come un ritiro spirituale. È un vocabolo che usano i sufi, e non è immaginabile che un sufi militi nell’Isis. Quella parola araba vuol dire ‘tempo per stare soli con Dio’. Io credo che sia un tempo molto importante, per tutti”.

L’INCONTRO CON JAQUES MOURAD

È stato questo uno dei momenti più intensi del profondo e toccante incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio con padre Jacques Mourad, cofondatore della Comunità monastica di Mar Musa, sequestrato dall’Isis nel 2015 e autore del libro “Un monaco in ostaggio” (Effatà editrice, 15 euro). Quando il professor Andrea Riccardi, dialogando per lui tra applausi scroscianti e emozioni profonde, gli ha chiesto di entrare nel racconto di quei  “quattro mesi”, Jacques Mourad, ridendo, lo ha corretto, delicatamente: “Quattro mesi e venti giorni”. Sono tempi o periodi della vita che non accettano sconti, neanche da uomini schivi come padre Jacques. Ne è scaturito un altro momento liberatorio, che ha consentito di prendere fiato durante una conversazione profonda, nella quale Riccardi e Mourad hanno accompagnato per mano le tantissime persone che gremivano la grande sala  nei complessi meandri dei drammi, degli incubi e dei sogni degli uomini del Medio Oriente. Non capita spesso di riuscire a farlo senza barriere, senza muri ideologici che rinchiudono in un solo recinto tutti i credenti in una religione, e farlo con un sopravvissuto alla barbarie dell’Isis ha certamente un valore culturale enorme, che Sant’Egidio ha offerto a Roma, alla sua Trastevere, a pochi metri di distanza dal luogo dove la scritta su alcune magliette ha determinato un’aggressione feroce. Questa testimonianza di padre Jacques non poteva trovare data e luogo più appropriati.

Il suo è stato un sequestro duro, ma per chi lo sente raccontare anche rocambolesco, che ha visto Mourad sequestrato nella Siria centrale, poi portato in macchina attraverso il deserto, tra soste cariche di sadismo, nella capitale dell’Isis, Raqqa, poi a Palmira, dove ha trovato, praticamente in condizione di sequestrati tutti i suoi parrocchiani. La grazia della vita per non aver preso le armi ha consentito loro di poter tornare nel loro piccolo centro, alla condizione che le funzioni religiose venissero celebrate senza il suono di campane, in uno scantinato, non in chiesa. Erano ancora prigionieri ma a casa loro, e un gruppo di musulmani amici da sempre ha organizzato la loro fuga, di massa, in condizioni incredibili, trasportandoli in luogo sicuro nascosti su carri bestiame o sotto balle di grano o con altri mezzi di fortuna, attraverso il deserto. Alcuni di questi amici musulmani l’hanno pagata con la vita, ma non si è mai potuto accertare per mano di chi. I sospetti più ovvi non sembrano coincidere con quelli che forse sono i più fondati.

IL LIBRO

È l’eroe della forza della mitezza, della forza della debolezza, Jacques Mourad, che per circa due ore ha ricordato la sua prigionia senza mai nominare quell’uomo che lo ha frustato senza un perché. Quanti pensieri devono essersi accavallati dentro di lui per tenere chiara e dritta la barra di un racconto che il professor Andrea Riccardi ha coadiuvato sin dall’inizio: il libro, la storia e la vita di Jacques Mourad non parlano di “noi e loro”, non raccontano un mondo che oppone blocchi precostituiti e compatti. Quei blocchi non esistono, e Andrea Riccardi è voluto partire proprio da qui, dalla presentazione di questo libro di Jacques Mourad, “Un monaco in ostaggio”, e del suo autore, come si fa con un libro e un autore che ci accompagnano in mondi che proprio essendo tali sono articolati, costituiti da persone, da volti e quindi da storie diverse tra di loro. Di questa diversità padre Jacques Mourad ha fatto un valore e ha voluto rendere omaggio, in un altro momento di enorme intensità, al suo amico Paolo Dall’Oglio di avergliela fatta vedere, vivere, amare. Possibile?

Mourad ha raccontato di quando lo accompagnarono per la prima volta a Mar Musa, il monastero nel deserto che Dall’Oglio stava restaurando. Più che Dall’Oglio o il monastero fu il deserto ad attrarlo. Un’attrazione che aveva sempre provato e mai soddisfatto. Arrivato si presentò al gesuita romano, dicendo di sé: “Sono un seminarista” e scandendo con soddisfazione il nome della città dove si trovava il suo seminario. Dall’Oglio si limitò a dirgli: “Bene, ci vediamo dopo, alla Messa”. Non fu un approccio facile, l’orgoglio di sé e il fastidio per quella predica in cui tanto parlò di Islam, portarono però padre Jacques, nel corso del tempo, a vedere che lui viveva tra i musulmani, ma senza conoscerli. Nacque così un’amicizia profonda, che li ha visti diventare presto fondatore e cofondatore di una comunità che apre le porte come fanno le madri. “I nostri monasteri nella terra d’Islam – ha detto una volta Dall’Oglio – sono la migliore riprova che non c’è miglior protezione del buon vicinato”. Un messaggio così semplice e profondo che ieri Jacques Mourad, commosso dal ricordare in pubblico l’amico sequestrato nel 2013 e del quale nulla si sa, ha raccontato in tante pieghe, tanti risvolti. “Noi cristiani dell’Oriente arabo abbiamo la fierezza delle nostre identità di copti, di maroniti e così via. È una fierezza… potente, e ogni volta che parlavo con Paolo mi faceva arrabbiare tremendamente, pensavo non mi capisse. Poi ho capito io: quella fierezza poteva diventare un muro, e lui voleva aiutarmi a liberarmene. E lo faceva con le sue mani, scavando dentro di me, per liberarmi da quel muro e farmi vedere tutto il panorama”.

LA FIGURA DI DALL’OGLIO

Traduttore dall’arabo a tanti incontri per il dialogo promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, Paolo Dall’Oglio è stato come il terzo dialogante con due amici, Jacques Mourad e Andrea Riccardi, e la sua spiritualità di “innamorato dell’Islam, credente in Gesù” ha accompagnato l’amico siriano e il professore romano in infinite pieghe di una serata che verso la fine ha fatto emergere, nelle parole del monaco siriano, anche la sua urgenza di impegno sociale. È successo quando padre Jacques, dimenticando improvvisamente il sorriso, ha gridato il bisogno infinito di giustizia da parte di milioni di siriani. Quelli espulsi dalla Siria e quelli sfollati in campi profughi dentro la Siria: “Stiamo parlando di milioni di persone, dentro e fuori la Siria”, ma di loro non si parla. La giustizia di cui padre Jacques ha invocato l’urgenza ma che nessuno richiede, è quella da cui parte il suo essere un cristiano di Siria, sicuro che per esserlo davvero debba ogni giorno cercare giustizia per milioni di musulmani siriani, suoi fratelli. Per chi sui sofà romani parla di guerre tra religioni (non tra imperi) il libro di padre Jacques difficilmente riuscirà ad essere un antidoto, e al loro erigere muri contro i migranti “invasori” non riuscirà ad aprire gli occhi la profonda riflessione del professor Riccardi sul recente viaggio nella penisola arabica di Papa Francesco, dove il Papa ha celebrato davanti a circa duecentomila fedeli: i cristiani dati per estinti in Medio Oriente forse vi tornano? E vi tornano sotto le vesti di poveri migranti? Di poveri lavoratori senza cittadinanza, senza diritti? Nasce lì, tra quei lavoratori mai citati, mai visti, il nuovo cristianesimo di una terra stanca di soffrire la violenza dell’odio e delle ideologie? Il cerchio mediterraneo si chiudeva, lo sguardo dello storico coglieva quel che non vogliamo vedere, come la sete di giustizia con cui ha chiuso il suo discorso il monaco sequestrato dall’Isis Jacques Mourad.

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