Il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ha diffuso una dichiarazione sulla situazione con l’Iran. Parole che seguono l’abbattimento di un velivolo senza pilota americano da parte della contraerea iraniana nella notte tra giovedì e mercoledì e una caotica decisione con cui il presidente Donald Trump prima avrebbe ordinato di colpire in rappresaglia tre obiettivi militari in Iran salvo poi stoppare tutto dopo una lunga riunione nella Situation Room la sera di giovedì.
NIENTE COMUNICAZIONE CON L’IRAN
Tre i punti che Pompeo sottolinea. Primo, non c’è stata nessuna comunicazione con Teheran in anticipo ai raid poi “sconvocati” (cit.). La notizia era stata diffusa dalla Reuters attraverso fonti del governo iraniano: sembrava che Trump avesse anticipato i raid per evitare danni al personale e per lasciare un’ultima chance negoziale. Secondo la ricostruzione Reuters, infatti, nel messaggio recapitato a Teheran tramite il canale di comunicazione omanita, Trump offriva alla Guida suprema iraniana, Ali Khamenei, l’opportunità di un faccia a faccia per iniziare a intavolare un dialogo. Sarebbe quello che il presidente Usa vuole a valle della strategia della massima pressione iniziata quando ha tirato fuori il suo paese dal Jcpoa– l’accordo sul nucleare del 2015, con cui il programma iraniano era stato congelato e Teheran diplomaticamente riqualificata.
Trump e la sua amministrazione ritenevano l’intesa poco funzionale, anche perché era un’impalcatura di protezione della stabilità regionale, progettata dal detestato predecessore, Barack Obama, che non coinvolge due importantissimi alleati regionali americani, Israele e Arabia Saudita, che ai tempi si erano rifiutati ideologicamente di trattare con l’Iran nemico e con i negoziati e legati al deal si erano allontanati dagli Usa; ora con Trump c’ è stato un netto riavvicinamento a quei due partner a cui si lega la postura aggressiva contro Teheran. Dopo l’uscita dall’accordo, l’amministrazione Trump ha lavorato per alzare al massimo il pressing su Teheran, con sanzioni e posizionamenti anche militari: un atteggiamento che, secondo Trump, avrebbe messo gli iraniani spalle al muro, riportandoli al tavolo a trattare direttamente con lui, che avrebbe così potuto obliterare l’eredità obamiana chiudendo un nuovo, trumpiano deal con gli ayatollah.
Secondo quanto scritto da Reuters a proposito del messaggio durante le fasi intensissime del pre-bombardamento, Khamenei avrebbe rifiutato (almeno per ora) ogni trattativa. Su tutto, va detto, c’è il peso delle necessità politiche. Parlano fonti di un governo impegnato in un confronto militare, sulla cui terzietà possono esserci dubbi. Pompeo smentisce tutto: nessun messaggio, nessuna offerta, nessun rifiuto.
NIENTE EVACUAZIONI
Il secondo dei punti che il segretario sottolinea riguarda sia il posizionamento del velivolo — “era in cieli internazionali”, dimostra Washington, “ha violato lo spazio aereo” dicono gli iraniani — sia voci a proposito dell’evacuazione per ragioni di sicurezza della base aerea di Balad, che si trova a 64 chilometri da Baghdad. L’ex base Anaconda (come la chiamava l’esercito Usa durante l’occupazione irachena) ospita diversi contractor statunitensi che lavorano anche in funzione anti-terrorismo. Il 14 giugno quattro razzi fatti in casa sono stati sparati all’interno del compound: possibile siano stati lanciati da qualche milizia locale tra quelle che i Pasdaran considerano figliocci con cui diffondere influenza nella regione. Una specie di messaggio di avvertimento che aveva portato alla diffusione delle notizie di evacuazione dopo che, con l’abbattimento del drone, la situazione s’era fatta ancora più tesa. Pompeo smentisce anche questo: Anaconda è sotto controllo.
NIENTE DEBOLEZZE IN MEDIO ORIENTE
Infine il segretario sottolinea che gli Stati Uniti sono e saranno impegnati per proteggere “la pace e la stabilità in Medio Oriente”, ma anche i propri interessi e quelli dei propri alleati, e che l’ingaggio con l’Iran è confermato e arriverà nei modi opportuni e quando il tempo sarà maturo — e intanto oggi il CyberCommand del Pentagono ha lanciato una serie di attacchi informatici contro i sistemi di controllo missilistico iraniani e contro la rete di spionaggio (programmati già dopo i sabotaggi alle petroliere), mentre sono già state annunciate nuove sanzioni severe contro il sistema economico-finanziario di Teheran.
È una riaffermazione di forza e controllo che è necessaria davanti a ricostruzioni che rischiano di indebolire Washington: il raid annullato, le evacuazioni, la sensazione generale di impunità. Alcuni parlamentari iraniani nella seduta di ieri hanno lanciato il coro “Morte all’America”, le posizioni oltranziste tornano vocali, si irrobustiscono, sebbene la maggioranza al governo sceglie la freddezza. Oggi il vice capo di Stato maggiore dell’esercito iraniano ha avvertito gli Stati Uniti di agire con responsabilità, perché una guerra con l’Iran scombussolerebbe il quadro di delicata stabilità regionale e si porterebbe dietro tante vittime anche americane. Gli Usa dal canto loro non intendono mostrare debolezze o crepe nel sistema interno, anche se si è parlato di posizioni divise, da una parte il presidente e il Pentagono rimangono dell’idea di evitare attacchi, dall’altra i consiglieri falchi chiedono vendetta.
IL PENSIERO DI TRUMP
Già venerdì, il presidente Trump aveva offerto la sua versione dei fatti, spiegando che aveva deciso di annullare i raid una volta saputo da uno dei generali che erano state stimate 150 vittime tra gli iraniani, una risposta sproporzionata rispetto all’abbattimento di un velivolo senza pilota. Anche se qualcuno degli insider racconta ai media Usa che quel numero era stato presentato alla Casa Bianca fin dall’inizio del piano di attacco, che Trump aveva approvato comunque.
Altro dettaglio: secondo i tanti estratti anticipati di un’intervista a Meet The Press della NBC che uscirà per intero oggi, Trump ha detto che gli attacchi non avevano mai ricevuto il “final approval”, ed è sembrato smentire se stesso che su Twitter raccontava la storia delle 150 potenziali vittime che lo avevano portato a fermare tutto “dieci minuti prima dei raid”, quando era già “cocked and loaded“, armato e caricato, per colpire. Poi ha ribadito che “non cerca la guerra con l’Iran”, ma dov’esse esserci ci sarà “obliteration come non hai mai visto prima, Chuck” (ha detto a Chuck Todd, il giornalista che lo stava intervistando), affermando nuovamente che comunque non ha “precondizioni per un dialogo con l’Iran”.