Il presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato ieri, a conclusione del G20 di Osaka, che il ritmo delle produzioni di petrolio resterà quello seguito da inizio anno, mirato a non far scendere troppo il prezzo del greggio. La decisione l’hanno presa lui e l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, in uno dei tanti incontri a latere del vertice giapponese e sebbene attesa è una notizia interessante, se non altro perché va contro una volontà palese espressa dal presidente americano Donald Trump, altro grande produttore mondiale (con gli shale oil) che invece chiede prezzi bassi al barile per tenere bassa la pompa — più vicina alla pancia degli elettori.
L’OPEC+
Il russo e il saudita guidano — per quantità prodotte e per peso politico — il sistema Opec+, che lunedì tiene la sua prima riunione plenaria annuale a Vienna con un compito già svolto. I ministri dell’Energia dei vari Paesi produttori presenti si troveranno a fare poco più che retorica e discutere attorno alla più grossa delle decisioni necessarie già presa e annunciata da Putin insieme a bin Salman in un consesso esterno all’organizzazione. Non restano nemmeno le briciole operative: Putin ha detto che con Riad è stato raggiunta un’intesa di massima per prolungare per altri sei mesi l’intesa sul controllo delle produzioni raggiunta a dicembre 2018 e scaduta oggi stesso. Poi ha lasciato spazio a un’illusione esecutiva da affidare alle discussioni tra ministri: potrebbero essere anche nove i mesi. Ma è improbabile prolungare una decisione sugli output per così tanto tempo visto le incertezze generali (la domanda prevista per il 2020, la crescita economica instabile dei Paesi emergenti, il rischio di scontri commerciali). Oltretutto c’è una problematica tecnica: lo statuto Opec+ prevede di riunirsi due volte l’anno, dunque a dicembre ci sarà un altro, solito vertice e a quel punto si deciderà come andare avanti. O meglio, Putin chiamerà il partner saudita e si andrà avanti. Gli altri ratificheranno.
IL POTERE DEL PRESIDENTE RUSSO
L’annuncio dal G20 è la celebrazione che rappresenta quanto il presidente russo abbia ormai preso il controllo del sistema dei produttori allargato, creato tre anni fa per far fronte a un collasso dei prezzi collegato ai troppi surplus. L’Opec cercò aiuto all’esterno per tagliare le produzioni e far crescere il prezzo del bene, ma trovò situazioni di poca consistenza, Paesi come Norvegia, Kazakistan o Messico poco potevano spostare in termini di numeri di produzioni, ma la Russia ne aveva capacità. Putin decise — lui, contro le direttive del suo ministro dell’Energia, decisione di cui si vanta, e a ragione — di scendere in campo e tagliare di trecentomila barili al giorno il pompaggio russo (i sauditi ne tolsero altri 486mila e i due Paesi procedettero da soli a oltre il 60 per cento delle riduzioni previste). Fu una svolta consistente, con i prezzi petroliferi di riferimento aumentati attorno al 10 per cento in poche ore, ma il russo ha presentato nel tempo il conto, da ripagare in termini di influenza sul processo decisionale dell’Opec+ (che ha di fatto rottamato l’Opec).
(Foto: Twitter, @KremlinRussia)