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Mittal deve restare, solo un marziano chiuderebbe l’Ilva. Parla Realacci

Chi pensa che l’Ilva sia un problema solo di una città o al massimo di una regione, sta sbagliando di grosso. Quello che sta succedendo a Taranto in questi giorni è qualcosa di molto più ampio. L’acciaieria più grande (e inguaiata) d’Europa potrebbe tornare all’anno zero a partire dal prossimo 6 settembre quando i franco-indiani di Arcerlor Mittal, subentrati ai commissari lo scorso anno dopo una gara che definire accidentata è poco, potrebbero decidere di abbandonare lo stabilimento. E questo perché da quella data, per effetto di una norma contenuta nel decreto Crescita (approvato in via definitiva questa mattina), decadrà lo scudo penale per la nuova proprietà: se nell’ambito nel risanamento ambientale Mittal dovesse commettere qualche reato non sarà più protetta da forme di immunità. Una prospettiva che ha spinto i vertici del gruppo a mettere le mani avanti, dando per certo un abbandono dell’Ilva in assenza di retromarce. Un pasticcio all’italiana in piena regola che lascia decisamente perplesso Ermete Realacci, padre dell’ambientalismo italiano ed ex deputato dem, oggi presidente della Fondazione Symbola. Ambientalista sì, ma non certo privo di senso della realtà.

SOLO UN MARZIANO CHIUDEREBBE L’ILVA

Realacci non va molto per il sottile. “Francamente credo che sarebbe un errore madornale buttare a mare tutto il lavoro fatto fin qui. Mittal (che il 9 luglio incontrerà al Mise i sindacati, ndr) sta chiedendo semplicemente delle garanzie sul suo operato e cioè che non venga costantemente messa nel mirino nei mesi e anni a venire. Si tratta di una visione industriale plausibile”, spiega Realacci. “Oggi solo un marziano può pensare di chiudere l’Ilva. Vorrei ricordare a tal proposito che ci sono anche in Italia fior di realtà industriali che hanno saputo conciliare economia, lavoro e tutela ambientale. Basti pensare all’Enel, che oggi sta dismettendo in giro per il mondo numerose centrali elettriche desuete senza nemmeno perdere un posto di lavoro. Per questo trovo assurdo pensare di chiudere l’Ilva. Ho seri dubbi che si possa immaginare una bonifica del territorio senza una realtà economica viva al centro: che senso può avere risanare un’area se poi quell’area non serve a nulla? Quello che mi pare di aver capito è comunque una cosa: c’è stata poca preparazione da parte del governo, ho l’impressione che qualcuno non abbia studiato bene i dossier“.

ALL’ITALIA SERVE ACCIAIO

Realacci respinge al mittente l’ipotesi di trasformare l’acciaieria in un parco eolico. “Questo Paese ha bisogno di acciaio, deve rimanere produttore. Fare un parco eolico mi pare un po’ strano, la missione della nostra politica industriale non può essere quella di chiudere impianti per farci qualcos’altro. Abbiamo ora un imperativo, salvare Taranto perché è bene non dimenticare un concetto: risanamento ambientale e produttività sono concetti strettamente legati tra loro. Perché se è vero che non è pensabile risanare un’area dove non c’è economia, non è d’altro canto pensabile alcuna soluzione di innovazione e futuro produttivo per l’Ilva se vengono disattesi gli impegni sul risanamento ambientale, condizione necessaria per dare un domani all’impianto”.

UN PROBLEMA NAZIONALE

C’è poi un problema di messa a fuoco. Ovvero l’Ilva è un problema nazionale? O qualcosa che mette in risalto ancora una volta le differenze siderali tra Sud che perde pezzi e un Nord che corre con le Olimpiadi invernali e (forse) con la Tav. Realacci non cede a generalizzazioni di sorta. “Non metterei la questione sull’asse Nord-Sud. Il Settentrione ha le sue potenzialità, così come ce l’ha il Sud, che deve ripartire proprio da esse. Non penso che oggi dire Ilva voglia dire automaticamente fallimento di politiche per il Sud, casomai fallimento di una politica industriale ma su scala nazionale. Taranto è un problema nazionale, non locale. Se dovessi individuare l’emblema di un fallimento al Meridione mi verrebbe in mente il caso Xylella“.

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