Uno scontro presidenziale è in atto. Donald Trump e l’ex presidente americano, Jimmy Carter, sono arrivati ai ferri corti. E stanno volando gli stracci. Un autentico duello che vede sullo sfondo, ancora una volta, l’inchiesta del procuratore speciale, Robert Mueller. All’origine della disputa una dichiarazione dello stesso Carter che, ieri, durante una conferenza tenutasi presso il Carter Center aveva messo in discussione la legittimità dell’attuale inquilino della Casa Bianca. “[Trump] ha perso le elezioni ed è diventato presidente perché i russi hanno interferito a suo favore”, aveva affermato. Sulla possibilità poi di considerare Trump un presidente illegittimo, Carter aveva risposto: “Basandomi su ciò che ho appena detto, cosa che non posso ritrattare”. L’ex presidente ne aveva inoltre approfittato per sferrare un duro attacco alle politiche migratorie dell’attuale amministrazione americana.
L’ACCUSA DI JIMMY CARTER E LA RISPOSTA DI TRUMP
La replica del magnate newyorchese – neanche a dirlo – non si è fatta attendere. Durante una conferenza stampa, tenuta nel corso del G20 di Osaka, Trump ha poche ore fa dichiarato: “Jimmy Carter, guardate, è un brav’uomo, era un presidente terribile”. “Lui è un democratico” – ha proseguito – “È fedele ai democratici e credo tu debba esserlo, ma, come tutti ora comprendono, non ho vinto a causa della Russia, ho vinto solo grazie a me stesso”. Il magnate ha quindi concluso, affermando di aver condotto nel 2016 una campagna elettorale migliore e più intelligente, dicendosi infine “sorpreso” per le dichiarazioni dell’ex presidente. Insomma, l’inchiesta Russiagate continua ad aleggiare intorno alla figura di Trump. Basti pensare che, appena ieri, lo stesso argomento sia stato brevemente toccato – tra il serio e il faceto – anche in occasione dell’incontro avvenuto tra lo stesso Trump e il presidente russo, Vladimir Putin.
TRA I DUE PRESIDENTI UN RAPPORTO ALTALENANTE
Tuttavia, al di là della questione russa, questo scontro a distanza tra il magnate newyorchese e Carter evidenzia, una volta di più, il rapporto altalenante che si registra ormai da tempo tra i due presidenti americani. Un rapporto che, inizialmente, sembrava improntato alla massima simpatia reciproca. Nell’ottobre del 2017, Carter difese infatti Trump, dichiarando al New York Times che il circuito mediatico risultasse troppo duro verso l’attuale inquilino della Casa Bianca. “I media” – dichiarò – sono stati duri con Trump più che con ogni altro presidente. Si sentono liberi di dire che è mentalmente squilibrato e tutto il resto, senza alcuna esitazione”. Sempre in quell’occasione, Carter espresse inoltre non pochi dubbi proprio sull’inchiesta di Mueller, affermando: “Non penso che vi siano prove del fatto che i russi siano riusciti a spostare voti a sufficienza, o semplicemente a spostare voti”. Senza trascurare che, nel 2016, l’ex presidente si fosse schierato dalla parte del senatore del Vermont, Bernie Sanders, candidatosi all’epoca contro Hillary Clinton.
Si pensi poi che, nel settembre del 2017, Carter ha difeso Trump anche sulla questione del Deferred Action for Childhood Arrivals (Daca): un provvedimento che mirava a tutelare i figli minorenni di immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti. Nel corso di una conferenza, l’ex presidente disse: “Trump non ha ancora messo fine al Daca. Quello che ha detto è che ha dato al Congresso sei mesi per affrontare la questione, che è attesa da tempo.” Il rapporto tra i due sembrò tuttavia incrinarsi la scorsa estate, quando Trump finì sotto attacco per la sua politica della tolleranza zero, attuata al confine con il Messico. In quell’occasione, Carter – nel corso di una intervista rilasciata alla Cnn – sostenne che gli Stati Uniti avessero abbandonato il loro storico impegno a favore dei diritti umani. Ciononostante, pochi mesi fa, si era registrato un nuovo avvicinamento tra i due. Lo scorso aprile, Trump annunciò infatti di aver avuto un colloquio telefonico “molto positivo” con l’ex presidente, elogiando – tra l’altro – una “bellissima lettera” da lui ricevuta, in riferimento alla complicata questione dei rapporti tra Stati Uniti e Cina. Adesso bisognerà vedere se questo nuovo episodio sarà destinato a una conclusione felice o se – al contrario – aprirà una fase di aperta divergenza tra i due presidenti.
LA STORIA DELL’EX PRESIDENTE USA
Jimmy Carter è stato uno dei pochi inquilini della Casa Bianca del Novecento a restare in carica per un solo mandato. Da semisconosciuto governatore della Georgia fu inaspettatamente in grado di vincere le primarie democratiche del 1976, per poi riuscire a conquistare di misura la Casa Bianca quello stesso anno contro l’allora presidente uscente, Gerald Ford. Approfittando dello scandalo Watergate che aveva sconvolto al suo interno il Partito Repubblicano, Carter vinse attraverso la retorica dell’uomo nuovo, puntando sulla propria conversione religiosa e sul tema dei diritti umani. Arrivato allo studio ovale, cercò di abbandonare l’approccio realista di Henry Kissinger, rilanciando la sfida all’Unione Sovietica. I quattro anni della sua presidenza risultarono tuttavia tormentati. Numerosi problemi economici martoriarono la sua amministrazione, mentre la politica estera soffrì di titubanze e irresolutezza. A fronte di alcuni indubbi successi (come gli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto), Carter si ritrovò impelagato in scenari problematici da cui non riuscì a venir fuori. Il punto più basso della sua presidenza si ebbe con la crisi iraniana: problema spinoso che non fu in grado di risolvere e che azzoppò non poco la sua popolarità. Non a caso, nel corso delle primarie democratiche del 1980, venne sfidato dall’allora senatore del Massachusetts, Ted Kennedy, che – oltre alle pessime figure sul palcoscenico internazionale – rimproverava a Carter un approccio troppo destrorso sulle tematiche socioeconomiche. La sfida interna indebolì il Partito Democratico e – nonostante la conquista della nomination – il presidente si ritrovò defenestrato in novembre dal repubblicano Ronald Reagan.