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Trump stringe la mano a Xi e rilancia i negoziati Usa-Cina

Alla fine il più atteso degli incontri di Donald Trump a latere del G20 di Osaka — quello col cinese Xi Jinping — s’è portato dietro il più atteso dei risultati: Cina e Stati Uniti riprenderanno i negoziati sul commercio e metteranno di nuovo in tregua la trade war. Sei settimane di stallo risolte da un faccia a faccia, anche se una pace duratura “rimane ancora inafferrabile” (il virgolettato è l’analisi in tre parole della Bloomberg).

IL FACCIA A FACCIA

Trump dimostra la predilezione per l’approccio bilaterale e diretto da super-dealer (aspetto notissimo) e usa il contesto di certi scenari multilaterali internazionali come palcoscenico per il suo show. Lo scorso anno, al G20 di Buenos Aires incontrò Xi e anche in quell’occasione annunciò al pubblico globale di aver messo in congelatore un aumento tariffario sull’import dalla Cina la cui entrata in vigore era prevista da lì a pochi giorni. I dazi commerciali sono stati alzati successivamente — perché la Cina si è tirata indietro da una bozza di accordo — ma sono i risultati raggiunti in quella fase di negoziati a fare da solida base per la ripresa attuale delle trattative. Che, sia chiaro, viene semplicemente formalizzata in modo spettacolare, ma — sebbene non siano più stati coinvolti gli alti notabili di stato — non c’è stata mai una vera e propria interruzione del dialogo tra i livelli inferiori dei due governi.

Abbiamo avuto un ottimo incontro con il presidente Xi “, ha detto Trump ai giornalisti. “Eccellente. Direi eccellente Buono come sarebbe dovuto essere. Abbiamo discusso molte cose e siamo di nuovo in pista”. I mercati sono chiusi, ma è esattamente la conferma che cercavano: l’accordo non è nell’aria, rimangono le distanze, ma i negoziati sono il traguardo in sé, perché danno tempo, spazi, fiducia. Nel mondo finanziario gli scombussolamenti (non profondi) hanno accompagnato il silenzio incerto delle settimane di stallo nei contatti tra le prime due economie del mondo. Il business vuole dialogo, anche senza un risultato concreto. E ormai, chi vuol capire, Trump l’ha decifrato: sembra pronto a tutto, stressa i dossier fin dove sa di poter arrivare, poi frena, e riapre i colloqui. Al G20, per esempio, ha dimostrato freddezza e disponibilità con l’Iran, a cui ha proposto di negoziare “senza fretta”, ma non è detto che al rientro in patria non decida di alzare nuove sanzioni contro Teheran.

IL TERRENO DEI TALKS

Al leader cinese l’americano ha garantito — seguendo il pattern dell’incontro argentino — che non ci saranno gli aumenti tariffari annunciati il 10 maggio, quando Trump decise di portare le tasse doganali sulle importazioni dalla Cina dal 10 al 25 per cento su duecento milioni di prodotti. In quell’occasione promise di colpirne altri 300milioni con un aumento del 10 per cento: piano momentaneamente scongiurato, ma sempre pronto nel cassetto della Resolute Desk. La forza di Trump sta nell’aver dimostrato di essere sufficientemente prevedibile come controparte, ma anche di saper portare fino in fondo decisioni non-ortodosse (imprevedibile per questo) come gli aumenti. Con Pechino si siede al tavolo da questa posizione di forza, legata anche agli effetti dei dazi, che secondo diversi studi stanno colpendo la Cina più di quanto le previsioni sul contraccolpo interno di chi li vede con scetticismo erano state in grado di anticipare.

Dall’altra parte il cinese non ha rinunciato a giocarsi le sue carte, spostando la questione sul piano più alto della politica internazionale, degli impegni globali, del rispetto reciproco che dovrebbe guidare le relazioni tra Stati. Lo spin multilateralista aveva il palcoscenico perfetto, e Xi uscendo dai suoi faccia a faccia laterali ha rimarcato ogni volta che ha visto la stampa concetti tipo “qualsiasi tentativo di mettere i propri interessi in primo luogo e minare gli altri non avranno alcuna popolarità” (chiedere ai fan trumpiani dell’America First, però). Xi sa che il suo Paese può sfruttare lo spazio globale offerto dal ritiro americano, ma ancora non ha lo spessore (su temi di diritti, democrazia, e libertà varie, ma anche potenza economica e militare) per essere credibile fino in fondo.

LA QUESTIONE HUAWEI

Il presidente cinese ha tirato in ballo un unico argomento diretto — per il resto ha mantenuto i suoi commenti alti senza scendere nel campo del confronto — ed è stato la questione Huawei. Il G20 dovrebbe sostenere “la completezza e la vitalità delle catene di approvvigionamento globali”, ha detto il cinese. Invece lo staff al seguito di Trump ha usato i contatti secondari avuti durante il meeting con gli alleati anche per spingerli a seguire la scelta americana di tagliare la società fuori dai propri mercati, perché i suoi prodotti potrebbero contenere porte di accesso per lo spionaggio cinese. Per Washington non è solo un aspetto tecnico: c’è la corsa all’innovazione del 5G, su Cina e Huawei sono in testa, ed è anche un test di fedeltà tra i suoi alleati. Pechino ha fatto il suo gioco simmetrico, fornendo garanzie ai partner anche in sede G20. Il governo cinese tra l’altro ha insistito nei giorni scorsi che Huawei deve essere rimossa dalla black list prima di chiudere qualsiasi accordo con gli Usa — e anche qui l’aspetto tecnico-commerciale si abbina al valore politico-simbolico che una retromarcia americana potrebbe portarsi dietro, anche se il presidente Trump ha fatto sapere che, se si dovesse trovare un accordo (“Come i cinesi vogliono”, ha detto), anche questo elemento potrebbe essere trattabile.

IL TEMA DELLO SCONTRO

Ormai è piuttosto chiaro che il punto del confronto non è tanto quello che Trump era solito citare, la riduzione del deficit commerciale delle merci americane con la Cina (concetto però più vendibile e meglio afferrabile da un’ampia fetta di elettorato), ma il suo obiettivo principale è limitare l’accesso cinese all’innovazione, intanto mettendo dove può ostacoli dal/sul/via mercato americano. È quello il terreno su cui Washington si gioca la partita che nel 2030 potrebbe vederla sorpassata dall’economia cinese. Per questo gli Stati Uniti chiedono che un accordo includa questioni come il furto di proprietà intellettuale e il controllo secondo le regole del Wto delle sovvenzioni statali alle imprese. Pechino reagisce con una retorica sempre più aspra che sottolinea la sua prontezza per una lunga battaglia. I negoziati sono ripartiti, ma un’intesa globale tra le due potenze è tutt’altro che vicina.

 

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