Governo diviso. Lega in trincea. Presidente del Consiglio esposto. La questione delle ulteriori autonomie regionali è eminentemente politica, intendendosi con ciò che scombussola la cucina governativa e parlamentare. Passando in second’ordine la sostanza. Che, però, è la sola cosa che induce il buonumore.
VENETO, LOMBARDIA, EMILIA ROMAGNA
Le tre regioni che chiedono di avere ciascuna una legge specifica, per ottenere maggiore autonomia (Lombardia e Veneto, guidate dal centrodestra, cui s’è accodata l’Emilia Romagna, per ragioni che vediamo subito) reclamano il rispetto della Costituzione. Hanno ragione, nel senso che la pessima riforma del 2001, voluta dalla sinistra e passata contro il centrodestra, introdusse all’articolo 116 un comma scritto con i piedi, rendendo immaginabile che ci possano essere autonomie diverse a seconda delle regioni. Ora la sinistra che lo votò guarda con orrore al risultato, salvo Stefano Bonaccini, ancora convinto che si possa far concorrenza alla Lega parlando à la leghista, mentre la destra che s’oppose, e che varò una successiva riforma costituzionale, poi naufragata al referendum, con cui cancellava l’arzigogolo propagandista, ora è lì a dire: si applichi la Costituzione. E questo, considerata la stagione, si concilia con le facezie da ombrellone.
CHE TIPO DI AUTONOMIE?
Ma prendiamoli sul serio. C’è qualcuno disposto a credere che le tre regioni in ballo otterranno tre leggi diverse? Lasciate perdere il contenuto, la domanda è preliminare: si può immaginare, che so, che la tale regione assume gli insegnanti e l’altra no? (Ma non sarebbe meglio li assumessero i presidi, dato che fra ministro e governatore né l’uno né l’altro rispondono mai del risultato?) Non ci credo. Del resto la sola materia che darebbe seria sostanza all’autonomia è quella fiscale, spostando l’imposizione e riscossione nella mano che spenderà, senza il giro nelle casse statali, se non per la parte di fiscalità generale. Tema, però, che non può essere diverso a seconda che si mangi polenta o couscous, può cambiare l’addizionale o l’imposta, non la fonte che ne consente l’imposizione. Quindi, bello o brutto che sia, l’accordo sarà uguale per le tre. O non ci sarà affatto. Mettiamo la prima: cosa credete succeda, il giorno appresso? Tutte le altre regioni chiederanno la stessa cosa. E non si vede perché e come, a quel punto, potrà essere negata. Sicché, alla fine del giro di giostra, si sarà tornati al punto di partenza: autonomie maggiori, ma non differenziate.
Va comunque bene? Si ragiona come se le regioni siano state un successo. Purtroppo no. Ci sono regioni bene amministrate e altre gestite male, quando non furfantescamente, ma la differenza non sta nell’autonomia. Potete farla crescere, aumentando la distanza fra le une e le altre. Ci si può spingere fino al massimo di autonomia, cercando di ricordare che a quel capo, quasi federale, si sarà raggiunta la condizione della Sicilia. Una regione da anni in bancarotta.
Sì, lo so, sto cambiando argomento, sto parlando delle autonomie regionali. Non è questo il punto, quello che conta: alla fine vince la Lega e nella Lega i nordici, oppure Conte? Cinque Stelle stanno googolando: ma quante sono, ‘ste regioni?