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L’epica dell’errore nella nuova campagna di brand dell’Inter

Ditemi la verità. Non vi piacciono più i brand che si rappresentano sempre vincenti, giusto? I “leader di mercato” trionfanti. C’è un motivo? Può darsi.

Siamo cresciuti – soprattutto in Italia – con l’idea che una marca debba sempre portare delle soluzioni ai problemi. Nella convinzione che ciò che un’organizzazione dichiara attraverso le sue attività di branding debba essere per forza positivo, solare, cristallino.

Il motto più o meno di ogni marketer e comunicatore finora era: “Il mio mondo è bellissimo: entraci”. Al centro sempre lei: l’azienda, la marca, l’organizzazione. In mostra a discapito dei suoi pubblici o fan. Ma oggi tutto questo lo disapproviamo. Ci fa un po’ tristezza vedere il “wow” a tutti i costi.

Così da alcuni anni assistiamo al movimento contrario. Siamo noi pubblici questo movimento.

Se prima era la soluzione ad attrarci, con l’eroe vittorioso, ora è il problema a motivarci, con l’eroe o l’eroina che sbagliano, indugiano, provano dolore. È il racconto che condivide con noi il “mostro”, il nuovo motivo che ci appassiona.

L’EPICA DELL’ERRORE

Così, in tempi iper-emotivi, il coinvolgimento e l’attivazione cognitiva: mente, cuore, anima, passa (anche) attraverso l’esaltazione dell’errore e la condivisione di temi esistenziali problematici; per creare una connessione sentimentale profonda tra marche e pubblici.

Ne è un esempio interessante, la recentissima campagna dell’Inter – per la diffusione del brand – “Not For Everyone” più o meno “Non è da tutti” o “Non è per tutti”.

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Una campagna che ricorda quella di Under Armour del 2017 “Unlike Any” o anche altre sulla scia del marketing narrativo contemporaneo.

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In “Non è da tutti”, infatti, non è la marca ad essere protagonista, ma cinque personaggi “arrivati a realizzare se stessi grazie all’audacia, al sacrificio e al coraggio di sbagliare:

• Airton Cozzolino, kite surfer – campione del mondo a 17 anni;
• Duan Jin Ting ballerina cinese – e fondatrice di un collettivo di danza contemporanea;
• Alessandro Avallone, detto “Stermy”, esponente nel settore dell’e-sport;
• Omer – street writers milanese;
• Jessica Kahawaty, modella di origine libanese – molto attiva e riconosciuta per le sue battaglie sui diritti umanitari;

Non solo recordman o superwoman, ma umanità messa in scena con le sue debolezze. Vizi e virtù.

NOT FOR EVERYONE

Il testo della campagna, ripreso anche in diversi modi sui social, mi pare poi degno di nota:

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Non importa cosa dicano.
Provarci non basta.
Chi prova può mollare.
Io, invece, volo.
Ho fallito, non ero in guardia.
Sono crollata, è stata dura.
Ho avuto torto troppe volte.
Questo mi ha reso più forte.
Una partita dopo l’altra.
Per la fama, questa è la via.
Se il dolore porta alla gloria
Non scorderete il mio nome
La mia anima è selvaggia.
Di alibi non ne ho.
I miei fratelli troverò.
Nessun muro è troppo alto.
La strada è lunga, coraggioso amico.
E non basterà camminare.
Dovrai correre.
Ma tutto questo non è da tutti.
Not For Everyone

L’insegnamento che possiamo trarre da una campagna simile? Una cosa semplice ma allo stesso tempo difficilissima da fare. È vitale comprendere le ferite dei pubblici e rappresentarle, mettendole in comune nel proprio racconto di marca, prodotto o vita.

LA CONDIVISIONE DELLE FERITE RECIPROCHE

Sono le grandi paure e i grandi drammi che ci connettono e ci portano a un risultato collettivo. Sono l’abbandono, il tradimento, la solitudine, la vergogna, la privazione, ecc. che ci coinvolgono più che mai nel nuovo marketing narrativo. Non serve a niente strillarsi “leader di mercato” se non si sono messi in comune – con le proprie audience – i buchi dell’anima. Che ci piaccia o no questo è uno dei nuovi processi di engagement.

Così, in Not For Everyone le frasi “ho fallito”, “non ero pronta”, “avevo torto” diventano echi profondi che fanno risuonare le nostre biografie – quella volta che anche noi avevamo torto o non eravamo pronti – e le polarizzano nel bene e nel male.

Chi amerà e chi odierà questo modo di mostrarsi.

E chi lo celebrerà con forza riconoscendosi ancora di più nella nuova immagine eroica del caduto che si rialza.



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