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Tutte le paure di Washington sulle relazioni tra Israele e Cina

Da mesi ormai i funzionari degli Stati Uniti hanno messo in guardia le nazioni in via di sviluppo sui pericoli di accogliere massicci investimenti cinesi nei loro Paesi. Ora il Dipartimento della Difesa inizia a manifestare preoccupazione per le relazioni tra Pechino e Gerusalemme, un dialogo particolarmente preoccupante per chi, come Washington, teme attività di spionaggio nei riguardi dei dossier più sensibili.

PROIEZIONE ESTERNA

Per la prima volta nell’era moderna Pechino sta iniziando a proiettare la propria potenza militare fuori dalla sua regione. Una delle prime basi oltreoceano è quella nel Gibuti, nel Corno d’Africa, particolarmente vicina alla base americana che ha permesso alle forze internazionali di intervenire nel conflitto Somalo e in Yemen. Esistono poi una miriade di progetti per le infrastrutture israeliane, tra cui porti, linee ferroviarie e gallerie attualmente in corso di realizzazione da parte di compagnie cinesi. In ambito agricolo, l’azienda Adama ad esempio è parte della ChemChina Group, ovvero la Compagnia Nazionale Chimica cinese, e la Chinas Bright Food ha acquisito la cooperativa di trasformazione alimentare israeliana Tnuva.

CIFRE

Una stima di Reuters mostra come gli investimenti totali cinesi in Israele al 2016 fossero arrivati ad un totale di 16,5 miliardi di dollari, il tutto, ovviamente, in crescita fino ad oggi. I progetti sono tanti e particolarmente ambiziosi, ad esempio la Red-Med, ovvero una rete ferroviaria ad alta velocità che potrebbe legare il nord del Paese a Elat (in cui però il porto non è ancora adibito ad ospitare navi Cargo). Insomma, si parla di un corridoio ferroviario che dal Mar Rosso al Mediterraneo potrebbe rappresentare la prima, storicamente, ed unica alternativa al canale di Suez. Sempre in ambito marittimo, negli ultimi due anni la Cina ha firmato due contratti per la costruzione dei porti di Ashdod (950 milioni di dollari) e Haifa (2 miliardi di dollari). Quest’ultimo verrà costruito dalla Shangai International Port Group a partire dal 2021, mentre quello nel sud di Ashdod, dovrebbe essere edificato dalla China Harbor. La cooperazione tra i due Paesi è anche scientifica, tecnologica e di ricerca, motivo per cui sono già pienamente attivi numerosi accordi tra università.

CINA E MEDIO ORIENTE

Michael Mulroy, il vice segretario della difesa per il Medio Oriente, ha evidenziato le criticità di una partnership israelo-cinese per il porto di Haifa, in considerazione del fatto che si tratta di un frequente scalo per la sesta flotta della marina americana. Il dipartimento della difesa è particolarmente preoccupato nei confronti delle manovre cinesi, le quali secondo loro sono mascherate da investimenti innocenti ma finalizzate, come in questo caso, ad erodere i vantaggi militari americani. Ma la preoccupazione dei funzionari di difesa americani non riguarda solo l’accesso fisico della Cina a una regione particolarmente sensibile nel quale gli Stati Uniti sono da decenni la potenza dominante. Anche alcune trattative commerciali, in particolare nel settore tecnologico, potrebbero essere una porta di accesso per lo spionaggio nel settore della sicurezza nazionale. Questo discorso è da unire alle preoccupazioni americane circa la cooperazione di intelligence con chi collabora con la Cina per l’implementazione della nuova rete 5G. La condivisione di intelligence tra Washington e Gerusalemme è molto delicata, in particolare in considerazione del fatto che la Cina è uno dei principali alleati dell’Iran, la “bestia nera” di Israele e degli Stati Arabi della regione. La Cina, che non di rado ha mostrato di voler mantenere un atteggiamento neutrale nei confronti dei conflitti nella regione, ha anche lanciato di recente importanti investimenti industriali negli Emirati Arabi Uniti. Pechino ha anche investito in progetti energetici e ferrovie in Egitto, porti e stabilimenti automobilistici in Tunisia, e ha manifestato la volontà di essere coinvolta nella ricostruzione della Siria e nel settore petrolifero iracheno.

LA FIDUCIA DEGLI ALLEATI E IL BOCCONE AMARO

Come Mulroy ha sottolineato in un’analisi pubblicata su The Atlantic, non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato negli investimenti cinesi, in particolare in Israele, dove la più che preparata intelligence locale e i funzionari delle agenzie sono perfettamente a conoscenza dei rischi che circondano la collaborazione con la Cina. Tuttavia, gli investimenti continuano e, nonostante le preoccupazioni degli Stati Uniti, il porto di Haifa (e forse anche quello di Ashdod) è destinato a doversi aprire all’ingresso di Pechino. Secondo alcuni funzionari dell’Intelligence americana, non si tratterebbe di una situazione particolarmente rischiosa per la sesta flotta. Senza dubbio, però, per Washington è un boccone amaro da mandare giù.

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