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Perché il Green New Deal non piace a Trump (e non solo)

Da alcuni mesi, il dibattito politico statunitense si è spesso ritrovato a dover fare i conti con il Green New Deal: una proposta legislativa, sponsorizzata dalla neodeputata democratica, Alexandria Ocasio-Cortez, e dal senatore democratico, Ed Markey. Il piano è ambizioso e cerca di mettere insieme misure volte a combattere il cambiamento climatico con una serie di provvedimenti di carattere sociale: da un sistema sanitario universale alla lotta contro la disoccupazione. In particolare, il suo principale obiettivo sarebbe quello di conseguire un utilizzo di fonti rinnovabili di energia al 100%. La proposta ha suscitato reazioni molto forti. Se sul fronte ambientalista si registrano svariati sostenitori, la lista degli oppositori risulta comunque lunga. In generale, questo progetto viene spesso tacciato di utopismo, di essere troppo costoso ed eccessivamente radicale. Per questa ragione, svariati esponenti dell’establishment democratico non lo guardano con troppa benevolenza, proprio perché temono possa alienare all’Asinello le simpatie dell’elettorato moderato.

LA VOCE CONSERVATRICE

Un elemento che Trump e i repubblicani hanno non a caso deciso di cavalcare. Non solo il presidente americano vuole usare questa proposta come bersaglio nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020 ma, lo scorso marzo, il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, ha forzato volutamente il voto sul provvedimento, con l’unico scopo di mettere i democratici con le spalle al muro, costringendoli a schierarsi su un dossier per loro abbastanza divisivo. Le correnti liberal, dal canto loro, accusano il mondo repubblicano di negazionismo climatico. Il dibattito politico è ovviamente aperto. Ma i vari think tank legati alle galassie conservatrici sono al lavoro da mesi, per contrastare il Green New Deal, attraverso una serie di critiche economiche, ambientalistiche e valoriali. Critiche più o meno condivisibili: ma non semplicisticamente derubricabili a becero negazionismo ambientale. Secondo queste galassie, la proposta non solo si rivelerebbe troppo onerosa per le famiglie americane ma, più in profondità, mirerebbe addirittura a sovvertire il sistema economico statunitense, per portarlo verso i lidi del socialismo. Un’accusa, recentemente ribadita dopo che, lo scorso maggio, il capo dello staff di Alexandria Ocasio-Cortez, Saikat Chakrabarti, si lasciò scappare al Washington Post che il progetto in origine “non fosse affatto una questione climatica.”

IL PROGETTO SOCIALISTA

Secondo Ryan Bourne, del Cato Institute, la proposta costituirebbe un cavallo di Troia per trasformare in senso socialista il sistema economico statunitense. Dietro il velo dell’ambientalismo si celerebbe in realtà un progetto mirato a smantellare il capitalismo americano. “In quale altro modo si possono spiegare politiche che includono una garanzia di lavoro federale, sicurezza economica per chi non è in grado di lavorare, fornitura di alloggi, assistenza sanitaria gratuita, istruzione superiore per tutti e salario di sussistenza familiare?”, si chiede non a caso. “Anche in un universo parallelo in cui fosse possibile attuare un’agenda che sostituisca l’approvvigionamento energetico dell’intero Paese con fonti rinnovabili finanziate dal governo, rinnovare ogni edificio per migliorare l’efficienza energetica, eliminare le auto a gas, costruire una vasta ferrovia ad alta velocità e portare il numero di voli e mucche vicino allo zero, il costo sarebbe astronomico”. In particolare, secondo Bourne, il problema principale sorgerebbe dalla connessione di due fattori: un fortissimo aumento della spesa pubblica e una riduzione dei comparti industriali produttivi. Un binomio che determinerebbe conseguenze disastrose per l’economia statunitense.

PERICOLO INFLAZIONE

Sulla stessa linea si colloca Jeffrey Miron, sempre del Cato Institute, secondo cui un piano come il Green New Deal gli Stati Uniti non potrebbero permetterselo. Nella fattispecie, secondo l’analista, una simile proposta risulterebbe pericolosa soprattutto in termini di inflazione. In tal senso, ha scritto: “Alcuni democratici hanno affermato che il debito federale non è un vincolo, basandosi sulla ‘Modern Monetary Theory’, secondo cui le banche centrali possono emettere abbastanza denaro per finanziare le spese federali con una minima minaccia di inflazione. Ma l’inflazione stabile degli ultimi anni è precisamente dovuta al perseguimento intenzionale da parte delle banche centrali della stabilità dei prezzi come obiettivo primario della politica monetaria. Se la politica monetaria dovesse concentrarsi sul finanziamento della spesa pubblica, la minaccia di inflazione aumenterebbe rapidamente.”

IMPATTO REALE

Sui costi elevati si è concentrata anche la Heritage Foundation, che – in questo senso – ha elaborato una serie di proiezioni. Qualora il Green New Deal diventasse legge, entro il 2040 determinerebbe: la scomparsa di 1,4 milioni di posti di lavoro, la riduzione di 40mila dollari di reddito totale per una famiglia di quattro persone, una perdita aggregata del prodotto interno lordo di oltre 3,9 trilioni di dollari, aumenti della spesa per l’elettricità delle famiglie tra dal 12% al 14%. Ma non è tutto. Perché – secondo gli studi della Heritage Foundation – al di là delle problematiche di natura economica, il Green New Deal non produrrebbe alcun impatto significativo nel contrasto al cambiamento climatico, senza poi trascurare che – anche in questo caso – la proposta altro non risulterebbe se non un espediente per trasformare l’economia, la società e i valori statunitensi. Anche Stand of America, recente fondazione dell’ex ambasciatrice statunitense all’Onu Nikki Haley, considera il Green New Deal un tentativo di modificare in senso socialista l’America: in particolare, secondo la sua prospettiva, circa la metà dell’economia del Paese finirebbe sotto il controllo del governo e i costi per le singole famiglie si rivelerebbero particolarmente onerosi.

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