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“Grazie di esservene andati”. Il caso Diesel e la comunicazione all’epoca degli stati nervosi

Da qualche giorno sto cercando freneticamente di giustificare a colleghi o clienti la decisione di #Diesel di salutare con un post su Instagram i suoi 14 mila follower. Questi hanno deciso di andarsene dopo che l’azienda ha preso posizione pro comunità LGBT a livello mondiale – cosa abbastanza consueta rispetto ai valori che rappresenta. Molti mi chiedono: ma è giusto? L’azienda ha fatto bene? Cosa dovremmo fare noi?

diesel

DALL’OPINIONE PUBBLICA ALL’EMOZIONE PUBBLICA

Non ho una risposta definitiva. Ma in questi giorni, quando mi fanno domande del genere cerco di rispondere così. C’era una volta la verità stabile e stabilita. Quella dei fatti e delle cose oggettive. Quella della scienza esatta e delle competenze per sempre. Quelle delle carriere professionali e personali date. Quella dei capi da seguire e dei leader ispiranti. Quella delle argomentazioni razionali e dei “key message” aziendali che “lavavano più bianco”. Adesso c’è la riscossa delle emozioni. Entusiasmi che si polarizzano nel bene e nel male. Che ti fanno mettere like, che ti spingono a guardare compulsivamente l’ultimo “status”; che ti pressano per postare la foto del piatto e del panorama. Ci sono “regimi di veritàlocali, contingenti, a cui credi ora, ma forse non domani. Soprattutto c’è la presa di posizione tematica di un brand (personale o aziendale) che può anche modificarsi nel tempo. Mi rendo conto che è una risposta parziale e che richiede un salto di mentalità tremendo ma cerco di far capire che non è necessariamente un male se lo si comprende. E quindi aggiungo che stiamo passando dall’era dell’opinione pubblica razionale dove il cittadino-consumatore era sempre mosso da una argomentazione ragionevole all’epoca degli “stati nervosi” in cui gli individui e le comunità si esprimono e scelgono a partire dalla mobilitazione di emozioni pubbliche; che determinano la vita e le scelte economiche, commerciali e politiche di soggetti e collettività. Se si diventa consapevoli di vivere all’interno di “Stati nervosi”, come li ha definiti il sociologo inglese Davies, possiamo anche utilizzare la cosa a nostra vantaggio.

COMUNICARE NEGLI “STATI NERVOSI”

Infatti, per decidere di fare una cosa simile a quella fatta da Diesel ci vuole un cambio di passo nella modalità di relazionarsi con i pubblici e con se stessi. In particolare, è necessario:

ascoltare e seguire tutti i moti emotivi del momento contingente
definire un proprio posizionamento narrativo e valoriale rispetto al set di emozioni sociali che si vuole toccare
gestire il dialogo o lo scontro con i pubblici a livello emotivo profondo
prepararsi alla radicalizzazione delle opinioni e alle contro-narrazioni possibili, sapendo su quali emozioni, prima, e sentimenti, poi, agire
avere coerenza tra dichiarato e agito, perché se parli ma non ti muovi stai mentendo
trovare il coraggio di dire addio a chi se ne vuole andare (e farlo con rispetto)

Basta un cambio di mentalità. Sto cercando di viverlo anche io e di mostrarlo a colleghi e clienti. Sembra facile, ma non lo è… e applicarlo è rivoluzionarlo. Perché ti porta a riconoscere l’emozione che provi, poi a definirla (è gelosia o riconoscenza, invidia o sorpresa, tedio o allegria?). E infine a dargli un nome per renderla riconoscibile.

Così facendo si aumenta anche il livello di responsabilità: sia per l’azienda o l’istituzione che decide di progettare emotivamente la propria comunicazione; sia per i pubblici che scelgono di restare o di andarsene.

LA RIVOLUZIONE DELLE KEY-EMOTIONS

Nel content continuum, e nella battaglia per l’attenzione, non possiamo più partire necessariamente dall’argomento razionale per giustificare noi stessi e gli altri, ma dall’emozione chiave – la o le key-emotion(s) – che si vuole suscitare prima di parlare, produrre, promuovere, far eleggere, etc. Proprio come ha fatto #Diesel. L’azienda non si è limitata a esprimere un concetto ha messo in atto un’emozione, manifestandola sia testualmente, che visivamente. Questo genera automaticamente una presa di posizione – più o meno radicale – anche senza volerlo.

Un conto è trasmettere un concetto-contenuto razionale. Altro è trasmettere un’emozione che diventa argomento e concetto. È un letterale ribaltamento del modo in cui siamo stati educati a costruire le argomentazioni nella comunicazione e nel marketing commerciale, aziendale e politico. Se invece di chiedermi “questo pubblico vorrà da me il tema X o Y?” mi domando: “Questo pubblico quale viaggio di emozioni vorrà vivere?” creo un capovolgimento nella progettazione dei contenuti. A dire il vero, le neuroscienze ci avevano avvertito già da tempo: conosciamo solo se ci emozioniamo e tagghiamo emotivamente le informazioni in modo tale da trasformarle in memorie biografiche e sentimenti. Così magari la rabbia diventa nostalgia e la paura coraggio.

La dinamica è irreversibile e tutta intorno a noi.

Bisogna prepararsi a vivere in questi stati nervosi e a riconoscere e progettare emotivamente le nostre narrazioni di marca, prodotto, vita. Cercando anche di comprendere che tipo di cittadini vogliamo essere negli Stati innervositi. Nei Paesi che si mobilitano emotivamente.

Siamo pronti a ringraziare – grande emozione questa! – chi vorrà rimanere e chi deciderà di andarsene?

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