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Il leader di Hezbollah entra nel dossier Usa-Iran

Il leader spirituale e guida politica del gruppo paramilitare libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato due giorni fa che i suoi uomini si stanno riorganizzando in Siria. Sono già state “ridistribuite e ridimensionate” le unità che hanno puntellato col sangue il regime di Bashar el Assad mosso dalla chiamata ideologica e strategica dell’Iran. E le dichiarazioni di Nasrallah non sono certo indipendenti dalle dinamiche del dossier iraniano, il confronto con gli Stati Uniti, lo scontro nel Golfo con i nemici geopolitici soffiando sul fuoco delle divisioni religiose.

IL RUOLO DI ISRAELE

L’annuncio di Nasrallah è importante, ma annebbiato dalla propaganda in cui è inserito. Sulla sua rete televisiva, il leader libanese parla di attacchi contro Israele, “siamo pronti per invadere la Galilea […] e stiamo studiando diversi scenari”. Azioni imminenti, dice, che saranno più sofisticate di quelle del 2006 — guerra che non si è tecnicamente chiusa. Nasrallah scimmiotta il premier israeliano Benjamin Netanyahu e mostra una mappa dello Stato ebraico con indicati alcuni obiettivi importanti che sarebbero già tra i target del gruppo.

Israele lo sa, e anche per questo parte di quel dossier Washington-contro-Teheran passa da Gerusalemme. Gli israeliani hanno colpito più volte gli scambi d’armi con cui i Pasdaran aiutano ancora i loro proxy sfruttando il contesto caotico del conflitto siriano. Il leader di Hezbollah dice che questo non fermerà i loro piani e quelli dell’Iran. Trasformare la Siria in una piattaforma militare in mezzo al Medio Oriente e proiettata sul Mediterraneo è la principale ragione dietro all’investimento economico e politico che ha portato Teheran a costruire il suo sforzo dietro a Damasco.

Il capo di Hezbollah minaccia anche l’Arabia Saudita — “Pagheranno un caro prezzo a tempo dovuto” — e chiude il quadro degli alleati americani nella regione, che sono parte dello scontro tra Stati Uniti e Iran.

Hezbollah è molto più di un proxy, innanzitutto per la forza militare, ma poi per la presa politica. Uno Stato nello Stato che è riuscito a esprimere il proprio indirizzo sulla scelta dell’ultimo presidente, e che raccoglie molti consensi nel sud del Libano, dove è attiva la missione Unifil, la forza interposizione con cui le Nazioni Unite hanno creato sicurezza sul confine israeliano anche grazie alle guide italiane (ora in mano al generale Stefano Del Col). È una questione che richiede un trattamento delicato per gli equilibri interni in un paese sempre sensibilissimo.

LA REAZIONE USA

Nei giorni scorsi gli Stati Uniti sono tornati a sanzionare gli Hezbollah colpendo tre elementi della catena di comando economica e militare del gruppo; ed è la seconda volta nel giro di poche settimane che succede. Il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto su questo ingaggio un impegno congiunto da parte degli alleati. Una prima risposta arriva da Buenos Aires, che potrebbe designare l’organizzazione libanese in occasione del summit ministeriale anti-terrorismo dell’emisfero occidentale, ospitato dall’Argentina con la partecipazione di Pompeo. Lo scopo americano è coinvolgere alleati e partner in un fronte compatto contro l’Iran e i suoi proxy (remake di quello successo per esempio col dossier Huawei), e non è un caso se l’Argentina prenda posizione. Il Paese, che ospita la più folta comunità ebraica del Sudamerica, negli anni Duemila subì il colpo di un attentato contro l’edificio dell’Associazione mutualità israelita Argentina le cui responsabilità, mai chiarite, sono state attribuite al gruppo libanese. Sempre sul fronte: a inizio luglio l’Home Secretary inglese, Sajid Javid, è stato accolto dal premier Netanyahu in Israele ringraziandolo per aver definito Hez gruppo terroristico. Il Regno Unito è il Paese più impegnato nel confronto con l’Iran nel Golfo; le relazioni di Londra non sono mai andate così bene, celebrate recentemente con un’esercitazione congiunta di F-35 insieme con gli Usa.

Tuttavia, Nasrallah ha detto che gli Stati Uniti, nonostante le posture pubbliche stanno provando ad aprire un backchannel per trattare con Hezbollah. È “il pragmatismo americano”, dice la guida, ma forse sarebbe meglio dire il trumpismo, che stressa i dossier per portare la controparte a un tavolo di dialogo in posizione di debolezza. Nei giorni scorsi erano circolate anche voci su un incontro informale tra funzionari americani e iraniano in un hotel di Erbil, capitale del Kurdistan.

Colpire i libanesi serve a disarticolare il braccio principale con cui l’Iran diffonde in forma proxy la propria influenza nella regione. Uno degli elementi che Washington, Riad e Gerusalemme detestano. Il ritiro dalla Siria può essere un ridimensionamento, oppure la decisione di concentrarsi su altri fronti.

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