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All’Italia serve investire sul digitale. Il piano di Confindustria

Crescere utilizzando la trasformazione digitale per migliorare il rapporto debito/Pil, quale strumento strategico capace di agire tanto sul numeratore, razionalizzando e rendendo più efficiente la spesa pubblica, quanto sul denominatore, utilizzando il digitale come fattore moltiplicatore della crescita economica della Penisola.

LA SITUAZIONE ITALIANA

È uno dei messaggi emersi alla Luiss Business School diretta dal professor Paolo Boccardelli, dove Confindustria Digitale ha presentato oggi – alla presenza del ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria – il suo piano straordinario per un’Italia 4.0. Tra gli speaker altri esponenti istituzionali (il consigliere giuridico del Mise Marco Bellezza, il presidente della regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga e in collegamento il direttore della Dg Connect Ue Roberto Viola) e provenienti dal mondo delle aziende (Acea, Enel, Ibm).
Per introdurre l’argomento si è partiti da un’analisi dei numeri, che vedono Roma ancora troppo indietro nel settore.
L’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) della Commissione europea, da un quinquennio colloca l’Italia agli ultimi posti nella classifica Ue. Nel 2014 era al 25esimo posto su 28 Paesi Ue, nel 2019 si ritrova in 24esima posizione.
Uno stallo, questo, che si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano pochi progressi, sia da parte dei cittadini sia delle Pmi, che rappresentano la spina dorsale del tessuto produttivo italiano.

LE PROPOSTE DI CONFINDUSTRIA

Con l’intento di invertire questa rotta, il presidente di Confindustria Digitale, Cesare Avenia, ha delineato oggi nella scuola di alta formazione dell’ateneo confindustriale alcune delle misure che, secondo l’associazione di categoria, possono rilanciare la digitalizzazione del Paese, basandosi su quattro pilastri: sviluppo delle competenze per il lavoro che cambia, accelerazione del piano triennale per la PA digitale, trasformazione digitale delle imprese, e sviluppo di reti 5G e banda ultralarga.
Si va da un raddoppiamento delle risorse finanziarie e umane per accelerare l’attuazione del piano triennale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione fino a rendere strutturali gli incentivi per l’innovazione delle imprese, passando per un programma nazionale ad ampio raggio per la formazione delle nuove competenze per il lavoro che cambia e assicurare sostenibilità allo sviluppo delle infrastrutture 5G e banda ultra fissa con un quadro regolatorio favorevole. Ma servirebbe anche, secondo Confindustria, una governance del digitale “chiara e autorevole”, da realizzare incardinando la regia in un Dipartimento permanente della Presidenza del Consiglio “in grado di favorire il dialogo e la collaborazione dei vari soggetti interessati, dai ministeri agli enti locali”.
“Non dobbiamo”, ha affermato Avenia, “ricominciare da zero, ma valorizzare e accelerare i piani e progetti già in atto – ha aggiunto – va data priorità alle azioni che hanno maggior impatto e capacità di effetto leva sull’economia”.

IL RUOLO DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI

Fondamentale, in questo senso, il ruolo degli investimenti sia privati sia statali. La spesa pubblica italiana, si è detto durante il convegno, è allineata alla media europea coprendo il 49% del Pil. È invece assolutamente al di sotto per la parte relativa all’innovazione digitale: appena 85 euro per cittadino, a fronte dei 186 euro della Francia, 323 euro del Regno Unito e 207 euro della Germania. Uno ‘spread’ che pesa più di altri. Per arrivare ai livelli dei partner europei, secondo Avenia, l’Italia dovrebbe almeno raddoppiare gli investimenti pubblici dell’ordine di grandezza dei 10-11 miliardi di euro l’anno.

LE PAROLE DI TRIA

Una proposta, quella confindustriale di un piano strategico “che metta insieme le diverse leve della trasformazione digitale”, accolta positivamente dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, che nel suo intervento ha sottolineato la necessità di non restare fermi ad aspettare che il cambiamento digitale in atto abbia dipanato i suoi effetti, che si riverberano anche sulla capacità degli Stati di esercitare le loro prerogative. Senza contare che, ha evidenziato, “stiamo disperdendo talenti ma anche risorse, dal momento che la fuga di cervelli all’estero che sta conoscendo l’Italia ci fa perdere circa 14 miliardi di euro all’anno, ovvero poco meno dell’1% del Pil”.
Secondo il titolare del dicastero di Via XX Settembre, infatti, “non si passa affianco alla rivoluzione digitale. O ne siamo protagonisti o la subiamo e se la subiamo il rischio a lungo termine è di natura politica”. Il tema per il ministro, è come “mantenere una forma di sovranità su una risorsa così fluida. Come garantire che il nostro non sia solo di utenti digitali ma anche di creatori digitali. Questa è la risposta a cui governi devono rispondere attraverso il loro operato”, ha concluso Tria.


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