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Dopo la strage, Tripoli potrebbe chiudere i centri per migranti

Il governo libico – s’intende il Gna, l’esecutivo guidato da Fayez Serraj sotto egida Onu e senza l’avallo politico dei cittadini – sta valutando la possibilità di chiudere tutti i centri di detenzione per migranti sulla scia di quello che è successo nella notte tra martedì e mercoledì, quando un raid aereo ha ucciso 53 persone colpendo un edificio dov’erano ammassati profughi di provenienza soprattutto sub-sahariana.

Sarebbe un’iniziativa forte che farebbe crollare il piano di contenimento dei flussi migratori su cui l’Italia ha basato il progressivo calo degli sbarchi di questi ultimi quattro anni. È un interesse nazionale di primo livello, nonché un argomento dal grosso peso politico: la gestione dell’immigrazione è stato uno dei fattori che più di tutti ha pesato sulle scelte degli italiani al voto.

Oggi il ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashaga, ha accusato apertamente gli Emirati Arabi per il bombardamento, perché sono i gestori dell’aviazione del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, che ha lanciato tre mesi fa una campagna di conquista contro Tripoli. Avrebbero usato addirittura un F16 Made in Usa, entrato da poco tra i mezzi gestiti dalla base emiratina in Libia di al-Kadim.

È stato proprio Bashaga, politico misuratino molto influente, a dire al Libya Observer (giornale vicino al governo) che con i suoi funzionari sta discutendo della possibilità di chiudere tutti i centri di detenzione e rilasciare rifugiati e migranti per proteggere la loro sicurezza. Potrebbe trattarsi anche di una dichiarazione funzionale a far leva politica su certe sensibilità

I profughi sono diventati un obiettivo di questa guerra civile di posizione? L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ha diffuso oggi un report su quello che si sa dell’accaduto, e ha sottolineato: “Gli attori umanitari chiedono l’immediato rilascio di rifugiati e migranti dai centri di detenzione e il trasferimento in un rifugio sicuro”.

A Tajoura, il sobborgo orientale di Tripoli del massacro, secondo la panoramica fatta dall’Onu, ci sono stati due attacchi aerei nelle prime ore di mercoledì mattina. Il primo è stato un bombardamento di precisione che ha colpito un hangar (apparentemente non occupato), il secondo ha centrato l’edificio vicino, contenente 120 migranti. Ci sono delle foto aeree che dimostrano come il primo bombardamento abbia prodotto effetti ben più limitati del secondo, forse perché sono stati usati ordigni differenti. Per l’inchiesta iniziale dell’Onu, che non ha accertato responsabili, le guardie del campo migranti hanno costretto i rifugiati a rimanere nel centro di detenzione dopo il primo attacco, minacciando di sparare a chi tentava di fuggire.

“Secondo alcuni racconti, dopo il primo impatto, alcuni rifugiati e migranti sono stati colpiti dalle guardie mentre cercavano di scappare”, dice il report assembrato a caldo dagli esperti onusiani. Ieri al Palazzo di Vetro i diplomatici statunitensi hanno bloccato una risoluzione per avviare un’indagine indipendente sulla responsabilità dei raid aerei. Hanno sostenuto che non potevano ancora appoggiare una dichiarazione, che era stata preparata dai britannici e spinta dall’UE, dall’agenzie delle Nazioni Unite in Libia, e dall’Italia, che aveva già preparato le carte a Bruxelles, chiedendo che fosse l’Europa a farsi promotrice di un’inchiesta Onu sull’attacco di mercoledì, che secondo l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, potrebbe costituire un crimine di guerra. Ieri, il vicepremier Matteo Salvini ha accusato apertamente Haftar dell’accaduto.



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