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La Luna, andata e ritorno, raccontata da Paolo Nespoli e Roberto Vittori

Deviò il corso dell’esplorazione spaziale, inaugurò la ricerca scientifica extra-atmosferica e cambiò le dinamiche delle relazioni internazionali. Fu la corsa alla Luna che si compì nel 1969, ora destinata a ripetersi in tutti i suoi aspetti con due grandi novità: il ruolo enorme degli attori privati e l’emersione di un nuovo competitor da battere, il Dragone cinese. È il punto di Roberto Vittori, Paolo Nespoli e Bruno Vespa, protagonisti ieri sera della “Moon Night” organizzata a Roma dal Centro Studi Americani, in collaborazione con l’ambasciata degli Stati Uniti in Italia e la moderazione di Roberto Arditti. Una conversazione che si è mossa tra gli aneddoti tratti dal nuovo libro di Vespa, Luna, e i racconti incrociati dei due astronauti italiani.

LA SCELTA AMERICANA

Chiariamoci, “senza la Guerra fredda non ci sarebbe stato l’allunaggio, o almeno non ci sarebbe stato nel 1969”, ha spiegato Bruno Vespa. Per gli americani fu determinante il desiderio di recuperare il terreno perso nei confronti dei sovietici. Nel 1957, “il lancio dello Sputnik, il primo satellite in orbita, fu una vera e propria sberla per gli Stati Uniti, e basta vedere i giornali americani e di tutto il mondo del giorno dopo”. Poi, pochi mesi dopo, “il colpo di genio: mandare una cagnetta, Laika, nello spazio”, seguita nel 1961 da Jurij Gagarin, il primo uomo a volare oltre l’atmosfera. Insomma, ha notato Vespa, fu chiaro a tutti che “le guerre stellaei non erano fantascienza”. Inoltre, bisogna considerare “le condizioni psicologiche di Kennedy: la guerra in Vietnam non andava benissimo, e poi arrivò la grande sconfitta della presidenza alla Baia dei porci”, dove fallì il tentativo di rovesciare il regime cubano di Fidel Castro. Il presidente Usa, ha ricordato Vespa, “capì che doveva fare qualcosa, e allora lanciò una sfida terribile, una prova di forza unica: battere i sovietici arrivando per primi sulla Luna”.

IL FATTORE VON BRAUN

“Tutto ebbe inizio con i tedeschi” e con la ricerca nel campo missilistico da loro approntata, ha rimarcato l’astronauta Paolo Nespoli. Nella corsa verso Berlino, alla fine della Seconda guerra mondiale, “i russi portarono via dalla capitale della Germania tutto ciò che poterono, mentre Wernher von Braun (lo scienziato tedesco, maggiore delle SS, padre del primo missile balistico V2, ndr) scappò verso sud per andare negli americani”. Negli Stati Uniti egli fu tra i protagonisti del programma spaziale, soprattutto dopo il lancio dello Sputnik russo. Difatti, il progetto americano seguì un deciso cambio di rotta proprio nel 1957. Prima di allora, ha spiegato Vittori, non esisteva la Nasa. Eppure, ha aggiunto, la reazione al lancio sovietico “fu scoordinata: la forza della tecnologia americana non era nei razzi, ma negli spazioplani”. Il desiderio di seguire i russi portò dunque gli Stati Uniti “a passare da un filone in cui erano inimitabili, a un altro”. Il gap è però stato duro da recuperare, tanto che “le distanze si stanno riducendo del tutto adesso, a distanza di 50 anni, grazie al ruolo dei privati”, ha notato ancora il capo dell’Ufficio Spazio dell’Aeronautica.

TRA FAVOLE E RISCHI

Eppure, gli americani riuscirono nell’impresa, e il 20 luglio del 1969 Neil Armstrong metteva il primo piede umano sula superficie lunare. Grazie alla prima diretta televisiva globale, il fatto ebbe un’eco mediatica incredibile. “C’era il clima di una cosa che era straordinaria, ma assolutamente semplice; per gli spettatori – ha detto Bruno Vespa ricordando quando lesse l’agenzia che batteva l’allunaggio – l’idea che si potesse fallire non esisteva; era una favola che appariva assolutamente normale”. Le cose erano però ben diverse, hanno notato i due astronauti. “Il livello di incertezza all’ingresso della capsula sul razzo che li avrebbe portati sulla Luna era assoluto – ha spiegato Vittori – ancora oggi è un momento in cui sai quello che perdi e non sai quello che trovi”.

PERCHÉ TORNARE SULLA LUNA

E allora perché tornare sulla Luna dopo le diverse missioni del programma Apollo? “La Luna – ha detto Vittori – è la nostra opportunità di domani”. Lo hanno capito gli Stati Uniti, che hanno alzato l’asticella puntando a un ritorno umano entro il 2024 con il programma Artemis, sponsorizzato direttamente dal presidente Donald Trump. È però un’opportunità per tutti: per l’Agenzia spaziale italiana (Asi), per quella europea (Esa) e per la Nasa. La grande novità, ha rimarcato l’astronauta, “è che oggi c’è un’opportunità anche per i privati; è questo il cambio di marcia epocale; la tecnologia è così matura che potenzialmente a chiunque è possibile ipotizzare di avviare un’attività sulla superficie lunare”. Ma per fare cosa? “Molte cose”, ha risposto ancora Vittori. “La Luna sarà la prossima frontiera della ricerca e dell’esplorazione, ma anche dell’economia”. D’altra parte, il nostro satellite naturale ha la stessa composizione del suolo terrestre: “Immagino una zona industriale al di fuori dell’atmosfera terrestre, risorsa preziosa che da tempo stiamo rovinando”. Si potrebbe estrarre l’idrogeno e, in prospettiva, addirittura rifornire gli assetti che serviranno per esplorazioni ben più profonde.

LA SFIDA CINESE

A soffiare sulle vele di questa nuova corsa lunare potrebbe esserci di nuovo la competizione globale e l’obiettivo del predominio strategico. Non con i russi, per cui la Stazione spaziale internazionale (Iss) è stata esperienza di grande collaborazione extra-atmosferica. “La mia idea – ha notato Vespa – è che Trump voglia andare sulla Luna perché ci sono andati i cinesi”, con l’invio dello scorso gennaio della sonda Chang’e 4, la prima a poggiarsi sul lato nascosto del nostro satellite naturale. Guardando oltre, ha affermato Vespa, “se i cinesi dovessero arrivare per primi su Marte, per gli Usa si creerebbe un grosso problema”. La sfida pare concreta. “Stanno andando avanti in fretta”, ha detto Nespoli. “Oggi la Cina è forse l’unica grande potenza la mondo a potersi permettere di fare un programma che costa una somma ingente e che duri 15 anni – ha aggiunto – nessun governo democratico lo può fare”.

SE LA GEOPOLITICA NON BASTA

Attenzione però, ha ammonito Vittori, la geopolitica non basta. “Oltre agli aspetti geopolitici e geostrategici, si deve evidenziare anche la parte tecnologica”, ha detto. “Lo Spazio è oggi un’opportunità per tutti quanti; resta il compito, di agenzie e istituzioni, di guidare, ma oggi ci sono innumerevoli possibilità”. Per questo, ha aggiunto, “non bisogna ricordare il primo allunaggio con l’impressione che sia stato un qualcosa di irripetibile”. Il primo passo? “Completare il mezzo aeronautico e passare dall’aeroplano allo spazioplano; andare da Roma a Tokyo in un’ora e mezza – ha detto concludendo – non è fantascienza, è fattibile”.

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