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Il M5S e il richiamo del “vaffa” (occhio alle mosse del premier)

“Per troppo tempo abbiamo fatto gli istituzionali rispettando tutti ed ascoltando tutti. Ma siamo stati trattati da incapaci e stupidi sprovveduti. Qualcuno dice che dobbiamo tornare alle origini. Concordo. Ricominciamo a mandare a fan… chi se lo merita”. Così Fabio Vercesi (dirigente importante del M5S a Torino, sino a pochi mesi fa presidente del Consiglio Comunale) in un significativo intervento (anche un po’ sfogo) sui social poche ore fa.

Ebbene questo intervento (mentre a Torino si consuma l’ennesima figuraccia dell’amministrazione Appendino, che perde una manifestazione importante per la città, cioè il Salone dell’Auto che nel 2020 si svolgerà a Milano solo ed esclusivamente per polemiche interne alla giunta a cinque stelle) è molto significativo dello stato d’animo che scuote il Movimento. E lo diventa ancor di più se consideriamo che tutto ruota intorno ad una parola magica e ricorrente (che userò una sola volta in questo articolo): vaffanculo.

Già, perché è proprio con il VaffaDay di Bologna del 2007 che inizia la cavalcata trionfale di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, quella entusiasmante avventura politica che giunge undici anni dopo al poderoso successo del 2018, con il M5S primo partito d’Italia e, quindi, prima forza di governo. Però, a un anno di distanza da quel successo, la compagine guidata (oggi) da Luigi Di Maio appare scossa, confusa, incerta sul da farsi.

Al netto degli sforzi dello stesso Di Maio infatti, c’è evidente insofferenza diffusa verso Appendino e Raggi, i due sindaci più importanti del Movimento, considerate ormai da gran parte del gruppo dirigente nazionale come due palle al piede.

Poi c’è un rapporto con l’alleato di governo vissuto con sofferenze atroci, che non emergono più di tanto solo perché il controllo esercitato dal vertice è ferreo e non consente alcuno spazio di dibattito (con poche eccezioni e tutte riservate a figure “storiche”). Basta infatti una parola fuori posto per finire nella “black list”, quella che esclude da ogni presenza in radio e Tv e che relega ad attività parlamentari di scarsa rilevanza. E comunque, tra abbandoni volontari ed espulsioni, i gruppi di Camera e Senato si vanno assottigliando, mentre si vocifera di una ulteriore pattuglia di una decina di eletti pronti a fare le valigie.

Infine c’è il tema più importante di tutti, cioè quello identitario, che può essere sintetizzato in una domanda: il M5S, nella sua essenza più profonda, è un movimento politico nato per rivoltare il sistema ma capace di fare i conti che la complessa arte del governare oppure è un soggetto “condannato” a stare nel ruolo di cane da guardia lasciando ad altri l’onere (e l’onore) del potere?

Qui il tema si fa serio e la risposta diventa, giocoforza, un po’ articolata.

Nell’idea di Beppe Grillo la risposta è chiarissima (anche se lui non ha mai esplicitato questo concetto): il Movimento è pensato per azzannare alle caviglie i potenti, non per diventare esso stesso nomenklatura.

Nella versione Di Maio però tutto cambia, perché si vede benissimo che lui (ed il gruppo che gli fa riferimento) vuole governare, anche a costo di “inversioni ad U” decisamente spericolate, come TAP, ex-Ilva e TAV (per fortuna la linea ad alta capacità in Piemonte si farà, ormai lo dicono tutti anche nel M5S).

Ebbene la linea Grillo ha portato al 32%, quella Di Maio al 17%.

Sarebbe ingeneroso darne tutta la colpa al giovane dirigente campano, ma sarebbe privo di senso affermare che lui non c’entra nulla. Di Maio ha sostituito la grisaglia al “Vaffa” e di questo occorre essergli riconoscenti, per il semplice fatto che nessuna barca può andare avanti senza che qualcuno si assuma l’incarico di reggere il timone e agire sul motore. Però è ormai evidente che le due anime stanno insieme come l’acqua e l’olio.

Il M5S è a un bivio e deve scegliere e accettarne le conseguenze. Anche perché c’è chi pensa ad un nuovo soggetto, guidato dal premier Conte.

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