“Sono convinto che l’intero processo contro Vitaliy Markiv, così come il recente verdetto della giuria di Pavia, siano la prova di una vasta operazione speciale russa organizzata nel territorio italiano allo scopo di screditare la resistenza ucraina contro l’aggressione russa”, commenta così, in esclusiva con Formiche.net, l’ambasciatore di Kiev in Italia, Yevhen Perelygin, il verdetto con cui la corte italiana ha condannato la guardia nazionale ucraina Vitaliy Markiv a 24 anni di carcere per complicità in omicidio premeditato. Quello che ha portato alla morte Andrea Rocchelli, fotoreporter italiano, e il suo traduttore, Andrei Mironov, durante un triste episodio dei combattimenti nei pressi di Slovyansk, città della regione di Donetsk, il 24 maggio 2014.
“Certo, per confermare questa versione dei fatti ci vogliono prove innegabili, ma se la Corte d’Assise rovina il destino e la vita di una persona, un difensore della nostra Patria, in totale assenza di prove, allora chi può contestare questa mia opinione basata su molti fattori e indicazioni che suggeriscono la natura politica del processo su ordinazione contro Vitaliy Markiv?”.
L’accusa dietro alla sentenza s’è basata sulle testimonianze di un giornalista francese presente durante l’incidente e rimasto ferito. Ma Markiv, che è italo-ucraino (è stato arrestato nel 2017, rientrato nelle Marche per far visita a sua madre malata), non è stato accusato di aver commesso personalmente le uccisioni, ma di aver informato la Guardia nazionale ucraina della presenza del gruppo, su cui poi avrebbero aperto il fuoco sul gruppo.
La risposta dell’ambasciatore Perelygin alla domanda di chi scrive — come vede la sentenza del 12 luglio emessa dalla Corte di Assise di Pavia? — è severa, un avvertimento chiaro su cose che succedono anche in Italia, e segue una nota stampa uscita oggi sullo stesso argomento.
“Non vorrei entrare in merito del dibattito storico italiano sulle interferenze della politica nelle decisioni della magistratura — ha scritto l’ambasciata ucraina in Italia — ma il fatto è che ad aggiungersi alle decine di prigionieri politici ucraini in Russia adesso abbiamo anche un prigioniero politico ucraino in Italia!” Altrimenti, prosegue, “come possiamo comprendere questo ‘giudizio pavese’ che non solo ha distrutto l’alta immagine della giustizia europea ma, come ha affermato il noto penalista italiano e avvocato di Markiv, Raffaelle Della Valle, ‘una sentenza del genere, senza una prova, fa perdere fiducia nella giustizia italiana’”.
“E questo è proprio il punto — continua la diplomazia ucraina, che dal 2014 cerca di farsi valere anche attraverso queste vie nello scontro con Mosca, dopo l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, al costo di circa 13mila morti —. Durante le diciassette sedute l’accusa non ha presentato alla Corte alcuna prova certa e inconfutabile a dimostrazione di una qualsiasi responsabilità di Markiv per la morte del fotoreporter Andrea Rocchelli, né del fatto che gli spari che hanno ucciso Rocchelli provenissero dall’esercito ucraino. Su tutti i passaggi dell’accusa nella ricostruzione dei fatti mancano le prove certe!”.
Per Kiev, che da sempre sostiene l’innocenza del suo militare, le prove presentate dall’avvocato Della Valle in sei ore di arringa, con cui sono stati smontati i capisaldi dell’accusa non sono state “neanche considerate dai giudici”. Fra le tante cose, prosegue la nota, “è inspiegabile il motivo per cui i giudici della Corte di Pavia si sono rifiutati di considerare l’ultimo video di Rocchelli (girato alcuni istanti prima della sua morte) dove si distinguono molto bene gli spari a lui vicini e dove gli accompagnatori di Rocchelli si sentono parlare in russo di ‘fuoco incrociato’ e di un ‘mortaio che sta vicino’, in quegli stessi istanti Vitaly Markiv si trovava sulla collina all’incirca a chilometri di distanza!”.