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Perché l’avvelenamento di Navalny è un problema per Putin

La dottoressa Anastasia Vasilyeva, che ha personalmente curato Alexander Navalny in passato, ha dichiarato ieri sera che il leader delle opposizioni russe potrebbe essere stato avvelenato. Sarebbe questo il motivo — non una forte orticaria allergica come detto dalla Interfax — che avrebbe costretto i celerini di un centro di detenzione speciale di Mosca a trasferirlo ieri mattina alla Gorodskaya Klinicheskaya Bol’nitsa (per quanto noto i poliziotti si sono convinti a lasciarlo andare solo dopo che i paramedici dell’ambulanza che avevano chiamato hanno minacciato di fare una scenata, perché il paziente doveva essere ospedalizzato).

A Vasilyeva, e a un altro medico che era con lei, è stato impedito di vedere il paziente. L’hanno potuto osservare da dietro una porta a vetri, ci hanno potuto parlare a distanza, dicono di aver notato che ha gli occhi molto rossi, da uno perde pus: potenzialmente, abbinato al rash cutaneo e ai danni alle mucose potrebbe essere il risultato dell’esposizione ad agenti chimici (reazioni simili le ha denunciate un collaboratore di Navalny, rinchiuso nello stesso carcere nei mesi scorsi). È “strano” dice la dottoressa a proposito dell’impossibilità di visitare il paziente, però è un dettaglio da tenere a mente su tutta la vicenda (primo perché la diagnosi a distanza non può essere precisa, secondo perché potrebbe esserci qualche interesse a tenerlo lontano da altri medici a cui impedire una diagnosi più accorta; non bastasse, uno degli avvocati di Navalny che era andato in ospedale è stato trattenuto dalla polizia).

La valutazione medica – messa su Facebook – ha rapidamente fatto il giro del mondo, rinforzata da una dichiarazione della portavoce del politico russo: mai avuto niente di simile prima d’ora, non soffre di allergie. Tutto perché Navalny è un personaggio pubblico internazionale con un forte appeal mediatico. E d’altronde lui con i media ci sa fare: quando la scorsa settimana lo hanno arrestato in via preventiva, perché stava organizzando una manifestazione di protesta che non sarebbe stata autorizzata, l’hanno bloccato in strada mentre faceva jogging e lui, sul suo seguitissimo profilo Instagram, ha commentato scherzando sul look ginnico che indossava in caserma e sul fatto che i pigri in fin dei conti non hanno torto a dire che fare sport è rischioso. Risultato: migliaia e migliaia di condivisioni.

Anche perché l’arresto, così come il presunto avvelenamento, sono arrivati in giorni delicatissimi in cui le piazze di diverse città russe sono state invase dai manifestanti in protesta per l’esclusione pretestuosa subita da vari candidati di liste di opposizione dalle competizioni elettorali locali. Risultato: una repressione durissima, come al solito, con la Omon (lo spaventoso reparto antisommossa della polizia russa) che ha arrestato oltre mille persone.

Creato il contesto, la domanda logica dietro alla possibilità dell’avvelenamento di Navalny è il classico cui prodest? perché già il regime putiniano aveva addosso i riflettori internazionali – con l’Unione europea che per esempio ha diffuso un comunicato in cui ha denunciato le repressioni e chiesto a Mosca di tenere fede ai principi su cui si basa il Consiglio d’Europa in cui è stata recentemente riammessa. Come spesso è successo in altri contesti – per esempio con i bombardamenti velenosi al nervino in Siria – la risposta più ovvia sta nella semplicità: Navalny potrebbe essere stato avvelenato in forma controllata, ossia con dosi non troppo forti, per scelta diretta del Cremlino. Un atto punitivo.

Ma Vladimir Putin non avrebbe interesse a farlo adesso, diranno alcuni, e invece molto spesso i sistemi autoritari scelgono di stressare i dossier critici proprio nei momenti più delicati. Lo fanno per mandare un messaggio ancora più forte contro chi gli si oppone, lo fanno per vedere fino a che punto possono spingersi davanti agli attori che li circondano. Non è da escludere questa opzione, che però potrebbe non essere l’unica; tuttavia prima di andare avanti va sottolineato che siamo nel campo delle speculazioni, perché al momento della stesura di questo articolo l’avvelenamento è una circostanza “non da escludere”, ma non quella verificata clinicamente.

L’amministrazione di Vladimir Putin è nervosa, il presidente ha un approval molto basso, il suo partito, Russia Unita, è indebolito. Risultato anche di una serie di iniziative di legge non troppo apprezzate dai cittadini, per prima quella sulle pensioni – una sorta di riforma Fornero spiegano i russi quando vogliono far capire a un italiano il quadro. E questo ha portato un calo di consenso attorno a un presidente che invece sta già preparandosi la strada per prolungare ulteriormente la presa sul potere quando scadrà il nuovo mandato (che è praticamente ancora all’inizio).

E allora, in questa fase stanca potrebbe valere la dimostrazione sprezzante di forza con l’avvelenamento del frontman della opposizioni, ma potrebbe essere lecito pensare che qualcuno, dall’interno del sistema del potere russo, approfitti dello stato di debolezza dello Zar per orchestrare un’operazione dal sicuro tiro mediatico internazionale che potrebbe contribuire a erodere un po’ la figura di Putin. Attorno al Cremlino, e nel Cremlino, ci sono voci e posizioni critiche, che iniziano a essere stanche del monopolio ventennale con cui lo Zar gestisce il potere.

Potrebbero esserci servizi deviati d’accordo con lati politici, potrebbe esserci qualcuno uscito fuori controllo nel turbine di aggressività di questi giorni, potrebbe esserci un’azione esterna. Non è complottismo – sebbene il complotto sia una componente della politica profonda – ma è un semplice elenco su una serie di supposizioni non dimostrabili che escono come analisi dei fatti e del quadro attuale. Quello che è invece piuttosto chiaro è che l’avvelenamento di Navalny, se confermato, rappresenterà comunque un problema per Putin (e, anzi, lo rappresenta anche da presunto, perché difficilmente si tenderà a credere completamente alle ricostruzioni fornite dalle autorità di Mosca).

 

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