Un libro divertente, amaro. Che fa riflettere. E trova il modo di interrogare il lettore sulla direzione che sta prendendo la politica nel nostro Paese, certamente non tenere con la cosiddetta “nuova politica” (compare anche il sito Robespierre, chiaro riferimento alla piattaforma Rousseau), compensando con una narrazione sempre giocata sul filo dell’ironia e della leggerezza. L’autore mostra una discreta esperienza da scrittore di soggetti: non lascia situazioni né personaggi aperti, tutte le storie si chiudono. Con citazioni persino pugilistiche: l’autore ripesca nell’angolo della memoria il memorabile incontro tra Ray Sugar Leonard e Thomas Hearns passato alla storia come lo show-down.
È “Il collezionista di santini” opera letteraria numero due di Pino Pisicchio. Un giallo che potremmo definire senza enfasi storico, perché si snoda dalla fine del 2014 al 2018 e tiene sullo sfondo i cambi di governo e di alleanze. Una trama che ben si presta a una versione cinematografica con trovate futuristiche come l’Isola dei famosi dei politici. E con una collezione – appunto – di frasi da annotare; se ne trovano tante, scegliamo questa – “Il buco nero della comunicazione persuasiva alla fine si mangia la politica” – al solo scopo di introdurre la conversazione con l’autore nato e cresciuto nella Dc e per 24 anni in Parlamento.
“È chiaro che ogni scrittore tende a scrivere di quel che sa meglio. La mia prima opera fu ‘Onorevoli omicidi’, stava per diventare un film, poi la notizia divenne di dominio pubblico, gli attori chiesero aumenti dei loro cachet e non se ne fece più nulla”.
DIMENSIONE SACRALE DI MONTECITORIO
“Il libro – racconta Pisicchio – è soprattutto un atto di amore disperato nei confronti del Parlamento. Io sono figlio di un parlamentare, mio padre era deputato, io lo sono stato per 31 anni tra Italia ed Europa. La prima volta che ho messo piede a Montecitorio avevo 13 anni. Ho sempre guardato a questo mondo con enorme coinvolgimento emotivo. Quel Palazzo per me ha un dimensione sacrale e ogni volta che qualcuno prova a intaccarne la sacralità e il prestigio io ne soffro. Questo è lo stato d’animo che attraversa ‘Il collezionista di santini'”.
Il collezionista è un uomo che raccoglie da decenni. Questo è l’incipit del libro.
“Ad ogni primo odore di campagna elettorale partiva la frenesia dei ‘santini’. Che poi sarebbero quei rettangolini stampati con le insegne delle liste e le facce dei candidati a dritta e i fac-simile miniaturizzati delle schede elettorali a recto: i testimoni di un ‘ex voto’, letteralmente, e dunque per questo santini, come quelli che circolano nelle chiese o nelle ceste degli elemosinanti, scambiati con l’obolo. Renzo, dunque, collezionava ‘santini’.”
LE PAROLE DI EINAUDI
Pisicchio ricorda: “Mi veniva raccontato dai deputati più anziani che il Parlamento è esattamente come il popolo, né meglio né peggio. Luigi Einaudi disse che il Parlamento era composto per il 20% da persone migliori rispetto alla società italiana, per il 20% da persone peggiori rispetto agli italiani e per il 60% da persone uguali al resto degli italiani. Quindi se il Parlamento vive un momento di declino, al di là di ragioni costituzionali, è perché c’è un allineamento assoluto con quello che è il Paese oggi”.
IL SISTEMA ELETTORALE OGINO-KNAUS
Alcuni passaggi di Pisicchio sono feroci e mettono impietosamente a nudo l’impreparazione culturale dei nuovi adepti. Come quando descrive una scena del Transatlantico di Montecitorio col deputato Pino (manco farlo apposta) Paoli – definito deputato di lungo corso – propone a un capannello di nuove leve politiche e giornalistiche un modello elettorale nippo-germanico: “il metodo Ogino-Knaus”. Aggiungendo:
“Quanto ai giovani deputati, serissimi, raggiunsero ognuno anfratti al riparo di occhi indiscreti e sbirciarono il tablet alla voce: ‘sistema elettorale Ogino-Knaus’. Quando si videro cancellare da Google le parole ‘sistema elettorale’ pensarono di aver capito male il nome del metodo nippo-germanico e tornarono in aula rinviando ad altro momento l’approfondimento. In fondo ci avrebbero pensato i capi a queste cose complicate.”
“Confesso che è una scena cui ho assistito di persona. C’è da dire – prova a sdrammatizzare – che forse era un metodo contraccettivo conosciuto di più dalle vecchie generazioni, oggi probabilmente ci sono altri sistemi che io non conosco”.
IL PARLAMENTO TRA VENT’ANNI
Gli chiediamo se potrà esistere una versione proiettata nel futuro di questo libro, insomma come lui vedrà la politica italiana tra una ventina d’anni.
“Posso dirle una cosa. Sto finendo un lavoro, questa volta scientifico, sulla democrazia a Singapore, democrazia che ovviamente non c’è. È un regime autocratico anche se mantiene la forma del regime inglese, del Common Law. Sembra una democrazia liberale, in realtà non è così. Singapore è totalmente governata dallo smartphone, a partire dal premier (lì c’è realmente il premier, non in Italia dove dovrebbe chiamarsi unicamente presidente del Consiglio) fino all’ultimo cittadino. In quel mondo, tutti i visitatori sono felicissimi, non trovano carte per terra, né gomme da masticare. Chi butta una carta a terra, si becca 50 dollari multa; se lo fa due volte, lo picchiano sulle braccia e poi lo mandano in giro con una maglietta con la scritta ‘sono uno zozzone’ e in quella cultura è un affronto importante, che lascia il segno. È un sistema che formalmente resta democratico ma è sostanzialmente svuotato per essere eterodiretto dal capo. Il che può anche avere un suo significato in un Paese – Singapore appunto – in cui il valore dell’individuo non è così importante come nella cultura occidentale – lì conta soprattutto la famiglia – ma dalle parti nostre sarebbe molto doloroso da accettare. Si parla in continuazione di riduzione del numero dei parlamentari. Vuol dire che è passato il concetto che il Parlamento non serve a niente. Che ce ne siano 600 o 400 non cambia niente, almeno si risparmiano soldi. È molto triste”.
Nel libro, Pisicchio sottolinea come i veri leader, i capi di questi nuovi movimenti nemmeno ci sono in Parlamento.
“Ho girato il mondo e posso dire che non c’è un Parlamento bello come il nostro. Un’Aula piena di storia. Nessuno è paragonabile a Montecitorio. Persino la barberia è un luogo storico (e Pisicchio ricorda che lì si svolse la protesta di Donat-Cattin contro lo spostamento a destra del nuovo governo Andreotti, ndr). Eppure oggi sembra quasi superfluo”.
I NUOVI HACKER E LE BR
In una delle tante conversazioni tra i protagonisti del giallo fa capolino una domanda drammaticamente seria:
“Cosa distingue la stagione degli anni di piombo dell’Italia del rapimento Moro da quella di oggi, a parte l’incomparabilità dei protagonisti, naturalmente? Cosa fa diverso il sentiment antagonista e anti-istituzionale delle Brigate Rosse dal rancore diffuso nella popolazione dei giorni nostri?“.
“Sì, è una delle domande che è tra le pieghe di questo romanzo la cui drammaticità viene smorzata da questo approccio ironico che tento di mantenere in tutto il giallo. Tra le pieghe, provo a fare emergere che c’è un momento in cui noi abbandoniamo la consapevolezza dei processi politici, i vecchi stilemi che erano stati punti di riferimento nel bene e nel male, e precipitiamo in buchi neri e ovviamente non capiamo dove ci troviamo. L’attacco degli hacker, che siano russi o italiani, la gestione di questo grande strumento che oggi è il web, ha sotto certi profili ha una funziona antisistemica abbastanza simile a quella svolta dalle Br. Ovviamente sono diversi i contesti. Il grande tema di questo tempo è come coniugare la democrazia con l’idea dell’agorà elettronica, perché chi controlla sta roba ha in mano tutto. E in quesito momento va detto che non siamo messi benissimo”.
IL GRANDE VECCHIO NON ESISTE
L’amarezza che permea il giallo non prende però il sopravvento. Così come si sgonfia la bolla del grande complotto. Tutto trova una sua sistemazione.
“Perché in quarant’anni di attività politica, comprendo anche quelli che ho vissuto vicino a mio padre, ho capito una cosa dell’Italia: il Grande Vecchio, il puparo, non esiste. È tutto terribilmente sgarrupato, non esiste una dimensione superiore, per cui diciamo che c’è un gruppo, una congrega di uomini intelligenti capaci di mettere le mani dappertutto. In Italia non si può fare. E anche l’epilogo del mio libro è un inno alla sgarrupatezza. È il racconto dell’Italia di sempre. In questo periodo sto presentando il libro in giro per il Paese. Ho trovato molta curiosità, purtroppo c’è un’idea della politica e del Parlamento che è un po’ mitologica e un po’ bestiale. Ma quella vera non c’è. In realtà in Parlamento ci sono persone normali, con naturali problemi aspirazioni, angosce. E c’è persino qualcuno che ha ancora il senso del dovere”.
Frase cult
Se ogni cittadino romano portava nel suo patrimonio genetico l’imperturbabilità della Storia, attraversata dai suoi antenati a partire da Romolo e Remo, i commessi, i barbieri e i baristi della Camera ci mettevano dentro un di più. La genetica mendeliana di Montecitorio, infatti, ha dentro il disincanto di chi ha guardato negli occhi il potere da quando è nata l’Italia. E non l’ha trovato sempre così attraente.