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Raid in Siria contro l’Iran. Israele si difende, Mosca chiude un occhio

La Siria è ancora il dossier più teso del Medio Oriente. Dopo che per due giorni unità turche si sono scontrate al nord del Paese con l’esercito locale, nella notte i bombardieri israeliani hanno colpito Homs e Damasco. Si è trattata di una delle più pesanti tra questo genere di operazioni che Israele dal 2013 conduce abitualmente per evitare passaggi di armi tra i Pasdaran e il gruppo Hezbollah (chi scrive, solo negli ultimi, mesi ha registrato: 13 aprile Hama, 17 maggio Damasco, 28 maggio e 2 giugno Quneitra, 3 giugno Homs, 12 giugno Tal al Hara).

OPERARE D’ANTICIPO

Gerusalemme ufficialmente non commenta quasi mai queste interferenze in territorio siriano a sostegno della sua sicurezza nazionale — le intelligence ritengono che le armi che le Guardie della rivoluzione iraniana passano agli Hezbollah saranno usate dal partito/milizia libanese per riaprire il fronte della guerra con lo Stato ebraico nemico, tecnicamente in armistizio dal 2006, e dunque si portano avanti col lavoro cercando di impedire i passaggi (che però sono stati tantissimi e Hezbollah s’è molto rinforzato con il conflitto siriano). Tuttavia gli effetti sono evidenti: gli obiettivi colpiti stanotte sono multipli, centri di ricerca e sviluppo di armamenti a sud di Homs e a nordest di Damasco, un compound dei Pasdaran a Sahnaya (hinterland meridionale della capitale) e secondo l’Osservatorio siriano (una ong basata a Londra che registra quel che succede nel Paese fin dall’inizio della guerra civile) le navi della marina israeliana avrebbero anche centrato una decina di postazioni di Hezbollah sulla costa. Ci sarebbero state perdite sia tra i siriani sia tra iraniani e libanesi. I media locali parlano anche di quattro civili morti, tra cui un bambino, e una ventina di feriti: potrebbero essere dovuti all’intercettazione di uno degli ordigni israeliani da parte della contraerea siriana, che l’ha fatto esplodere a bassa quota sopra un’area abitata di Damasco.

GLI ATTACCHI

I cacciabombardieri israeliani colpiscono solitamente dai cieli sopra la costa libanese usando ordigni come le Gbu-39 Sbd, che sono bombe dotate di guida Gps laser e hanno la possibilità di percorrere oltre cento chilometri in planata prima di centrare il bersaglio. Oppure dei missili Delilah, anche loro con capacità stand-off, ossia lanciabili da lontano al bersaglio. Questo garantisce agli aerei della Iaf di tenersi ancora più nascosti dal fuoco della contraerea, che già lo scorso anno aveva prodotto un guasto tecnico a un F-16, costringendo il pilota all’eiezione prima dello schianto. La difesa aerea siriana s’è attivata anche stanotte, ma non ha centrato i caccia aggressori, e anzi un missile è andato lungo e precipitato a Cipro, in un’area della Kibris, ossia la Repubblica turca, il territorio auto-proclamato settentrionale occupato dalla Turchia e non riconosciuto dagli altri Paesi. Per aggiungere una complessità ulteriore, il missile era probabilmente un S-200, dunque uno di quelli che i siriani usano per autodifesa forniti con tanto di onerosi consulenti tecnici dalla Russia — a settembre dello scorso anno uno di quegli stessi missili aveva centrato un Il20 russo, un aereo da pattugliamento finito in mezzo al fuoco amico contro un’incursione israeliana. Stavolta il missile russo sparato da Damasco è caduto in una regione, quella cipriota in mezzo all’EastMed, geopoliticamente molto calda anche senza la complicazione siriana, zeppa di reservoir energetici e di interessi.

CONTESTO COMPLESSO

Tecnicamente russi e turchi, insieme agli iraniani obiettivo principale dei bombardamenti israeliani (in mezzo alla delicatissima fase di confronto con gli americani), sono partner nel processo di Astana con cui vorrebbero risolvere politicamente la guerra civile — leggasi spartirsi la Siria — in modo alternativo, e in competizione — con l’Onu. Su carta: perché i blitz turchi contro i siriani dei giorni scorsi servivano a mettere dei paletti operativi alle attività che Russia e Iran stanno coordinando su Idlib, enclave ribelle dove sono stati stretti come in una riserva di caccia gruppi anti-Assad anche amici di Ankara. È un inciso che si ritiene utile per delineare le articolazioni del contesto, dove ogni causa (in questo caso l’attacco israeliano) produce più di un effetto, e tocca nervi sensibilissimi.

INTERESSI

Tecnicamente anche russi e israeliani sono partner. I primi accettano le incursioni dei secondi in Siria, anche se sono dirette contro gli alleati che hanno aiutato Mosca a salvare il regime di Bashar el Assad. La Russia permette le mosse d’anticipo israeliane sul territorio siriano contro Hezbollah e Pasdaran perché dà maggiore valore strategico all’alleanza con Gerusalemme, e infatti difficilmente attiva le sue misure di difesa aerea più tecnologiche, come gli S-400 che difendono le basi russe di Tartus e Latakia/Khmeimim (che gli israeliani non hanno alcuna intenzione di colpire). Ma con la Siria la complessità è regolare amministrazione si diceva. Da giorni si segnalano disturbi ai sistemi Gps degli aerei che entrano ed escono dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Si tratta di situazioni registrate anche a Cipro e un funzionario militare ha detto a Haaretz che il governo israeliano pensa che siano attività russe. Un apparecchio disturba-segnale si troverebbe o a bordo di una nave al largo di Tartus, oppure nascosto a terra al nord costiero della Siria, ossia a Khmeimim. Gli israeliani però, che dieci giorni fa hanno ospitato un importante trilaterale con Usa e Russia che ha anche il sapore di un avvicinamento tra Mosca e Washington (è stata in quell’occasione che si è deciso il perimetro dell’incontro tra i due presidenti al G20), hanno mantenuto un atteggiamento molto cauto. Ne hanno individuato la tipologia, è un apparecchio mobile prodotto in Ucraina e relativamente complesso. Soprattutto dicono di credere che i disturbi prodotti siano involontari, legati non ad azioni di cyberwar, ma a un posizionamento diverso rispetto al solito. La Russia ha inviato l’ambasciatore di Tel Aviv a smentire coinvolgimenti attraverso la radio dell’esercito, gli israeliani garantiscono che non ci sono problemi sostanziali per il traffico aereo. La cooperazione (o meno) su ciò che conta passa anche dalla minimizzazione (o massimizzazione) di certi episodi: i raid come i disturbi al Gps.

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