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Perché Di Maio e Salvini sono divisi sui sindacati militari

È un messaggio rivolto direttamente alla Lega quello lanciato da Luigi Di Maio: “Credo che sia arrivato il momento di accelerare sulla proposta di legge relativa alle tutele sindacali per i militari”. In realtà, il tema è delicato. Più delle divergenze politiche citate dal vice premier, è la complessità del dossier ad aver rallentato i lavori. Proprio per questo Di Maio ha probabilmente deciso di dare il suo personale contributo – con una diretta Facebook tutta incentrata sul dossier – a quello che resta uno dei cavalli di battaglia del Movimento nel campo della Difesa.

IL DIBATTITO IN PARLAMENTO

Dopo la sentenza della Corte costituzionale dello scorso anno, è stato il ministro della Difesa Elisabetta Trenta a riconoscere a gennaio la prima “associazione professionale a carattere sindacale tra militari”, alias sindacato militare. La mancanza di una legge che disciplini la materia (seppur richiesta dalla Consulta e ad eccezione della circolare ministeriale), ha alimentato un dibattito effervescente quanto delicato, con effetti potenziali di portata “epocale” sulle Forze armate (questo il termine scelto dal capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli). E così, altrettanto complesso si è dimostrato l’iter parlamentare, in realtà mai arrestatosi dalla presentazione della proposta di legga a prima firma della deputata M5S Emanuela Corda. Settimane fa, la proposta era approdata addirittura in aula, salvo poi tornare in commissione Difesa per la discussione in sede referente. Solo l’altro ieri si sono tenute le ultime audizioni sul tema, con la presenza di rappresentanti del Sindacato italiano militari (Sim) Guardia di Finanza e del Sindacato autonomo dei militari (Sam), tra le sigle emerse dallo scorso gennaio.

“SIAMO STATI LASCIATI SOLI”

Sul tema, ha denunciato Di Maio nella diretta Facebook, “siamo stati lasciati soli”. Il riferimento calza a pennello con quanto accaduto a metà maggio (e ricordato proprio dal vice premier) quando un emendamento del capogruppo di Forza Italia in Commissione Maria Tripodi aveva ricevuto l’appoggio di tutti i partiti (Lega compresa) ad eccezione del M5S, superando così l’emendamento della grillina Corda che prevedeva di devolvere al giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro) le controversie relative ai rapporti di lavoro per i militari. Allora, le frizioni interne alla maggioranza era state catalogate tra i tanti dossier di scontro in vista delle elezioni europee, per lo più in un campo, quello della Difesa, dove i rapporti tra Matteo Salvini ed Elisabetta Trenta non sono sempre apparsi idilliaci. In questo caso però, c’era sicuramente di più.

UN TEMA COMPLESSO…

Nonostante la connotazione politica affibbiata da Di Maio, infatti, il tema si è dimostrato divisivo in modo trasversale, anche tra esperti e appartenenti ai ranghi militari (si veda il resoconto del dibattito organizzato da Formiche e Airpress). Agli estremi ci sono gli assolutamente contrari, posizione superata dalla sentenza della Corte costituzionale, e coloro che invece vorrebbero trasferire i sindacati “civili” all’interno delle Forze armate, ipotesi altrettanto inattuabile vista la specificità del settore. Nel mezzo, una quantità infinita di posizioni e disaccordi, che partono da questioni filosofiche (“i militari sono cittadini come gli altri?”) a tematiche particolarmente tecniche (“i sindacati potranno dire la loro sul voto di attitudine militare?”).

…E ARTICOLATO

E così, se per il generale Leonardo Tricarico, “è stato improvvido riconoscere i sindacati militari prima ancora della loro effettiva esistenza, in quanto ancora non esistono i limiti nell’esercizio di questo diritto non essendoci una legge di riferimento”, per Giorgio Carta, avvocato e ufficiale in congedo dell’Arma dei Carabinieri, tra i fondatori del primo sindacato militare della storia italiana, è assurdo che “un sindacato per esistere debba chiedere il consenso al datore di lavoro (come provvisoriamente previsto dalla circolare ministeriale della Trenta), che può pure successivamente revocarlo; è incostituzionale e, soprattutto, non è affatto imposto dalla sentenza della Corte costituzionale”. E se invece, per il segretario generale del Sindacato dei Militari, Luca Comellini, “le associazioni riusciranno a insegnare ai vertici delle Forze armate come si applica la legge”, per il generale Marco Bertolini, “i comandanti conoscono bene la legge e non gliela devono certo insegnare i sindacati”.

Va bene dunque accelerare, coinvolgendo ogni forza politica e sentendo tutte le parti interessate. Ma occhio: la gatta frettolosa fece i gattini ciechi, e qui c’è in gioco una buona fetta dell’efficienza delle nostre Forze armate.

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