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Ecco perché il 26 luglio il governo e Toninelli diranno sì alla Tav (nonostante Coppola)

Tav e autonomia, tertium non datur. Il governo che ha retto al precario equilibrio sui temi della riforma della giustizia (in primis il dibattito sulla prescrizione), che è ancora a galla dopo le dimissioni dei viceministri leghisti alle Infrastrutture Siri e Rixi, il caso Arata e il Russiagate, rischia di arenarsi sulla Tav e sull’autonomia.
Anche se è soprattutto su quest’ultimo tema che si registrano le frizioni più significative, perché sulla Tav, soprattutto dopo l’ennesimo assalto dei No-tav al cantiere di Chiomonte e dopo le parole di Di Maio a Torino di qualche giorno fa (“Non sto dicendo che abbiamo cambiato idea, ma fermare ora la Tav costa il triplo delle energie”, ha detto il vicepremier), le posizioni divergenti tra Lega e Movimento Cinque Stelle sembrano assottigliarsi.

Salvini non può permettersi di cedere il passo sulle infrastrutture all’alleato di governo, anche perché su crescita e sviluppo deve contenere le proteste dei governatori del Nord, già infastiditi non poco dal dibattito sulla Tav e dallo stop and go all’autonomia, che resta il vero punto di scontro tra i due partiti.

Proprio oggi Salvini a Firenze è tornato sul tema delle infrastrutture, con affermazioni che non lasciano spazio ad alcuna interpretazione. “Ci sono troppe infrastrutture bloccate dal ministero dei Trasporti, ha detto Salvini. Il Mit deve aiutare la gente a viaggiare e non bloccare porti, aeroporti, ferrovie, tunnel, autostrade. Il vero problema è il blocco di centinaia di opere pubbliche”.

L’assalto dei No-tav al cantiere di Chiomonte già alcuni anni fa aveva diviso il fronte dei contrari, con alcuni amministratori locali che avevano criticato la violenza di quelle proteste. La recrudescenza di certi fenomeni nelle ultime ore è un punto a favore di chi da sempre sostiene la necessità di realizzare l’opera, di cui l’Italia e l’Europa non possono fare a meno per una serie di ragioni evidenti.

Con la Tav Milano e Torino, infatti, diventano il centro dell’Europa, che si trasforma in una grande metropoli per collegare entro un decennio in 4 ore e mezzo Londra e le città italiane del Nord, o se preferite il Nord e il Sud dell’Europa. Solo investendo sulle infrastrutture l’Europa può sperare di fare concorrenza alle grandi megalopoli del mondo.

Parag Khanna, in Connectography, spiega in modo puntuale quale sarà l’evoluzione delle Città-Stato nei prossimi decenni, con una contrapposizione che sempre di più sarà costruita intorno alla capacità delle megalopoli di aggregare persone (e quindi talenti), e acquisire investimenti privati in cambio di una Pubblica amministrazione efficiente e snella.

L’Europa non può avere megalopoli, ma può certamente accorciare le distanze (anche culturali) tra le sue capitali e tra le città di una stessa nazione, come accade da un decennio tra Milano e Torino (MiTo) e si è ripetuto di recente con la candidatura del progetto olimpionico di Milano e Cortina, al quale colpevolmente Torino (che deve essere considerata un unico grande agglomerato di ricerca, sviluppo, innovazione e produzione con Milano, Genova, Bologna e il Nord-Est), non ha voluto aderire.

Questo è il senso e il contributo delle infrastrutture fisiche alla costruzione dell’Europa e della stessa Italia, così come i programmi Erasmus lo sono stati per connettere le infrastrutture culturali e umane del Vecchio continente.

Per queste ragioni credo che il 26 luglio il governo e il ministro Toninelli, nonostante il licenziamento di Pierluigi Coppola, l’unico studioso dal team di Ponti favorevole all’opera, opteranno per il sì alla Tav.

E a quel punto la partita all’interno del governo si sposterà sul vero tema in agenda: l’autonomia e il rapporto di forze tra le regioni del Nord e il resto del Paese. In attesa che l’autunno (sempre che il governo regga) torni a farsi caldo sul fronte delle crisi di impresa, della giustizia, e le inevitabili frizioni con il premier Conte e il ministro Tria determinate dalla legge di Stabilità.

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