L’ipotesi di un’inchiesta antitrust sui colossi del Web, nell’aria sin dall’inizio di giugno, è diventata realtà. Il Dipartimento di Giustizia ha dichiarato che avvierà una revisione mirata a comprendere come i giganti di Internet abbiano accumulato potere di mercato e se abbiano agito per limitare la concorrenza.
GLI OBIETTIVI
In pratica, spiegano i media d’oltreoceano, il governo americano e il DoJ guidato dal procuratore generale William Barr sembrano intenzionati a capire se nelle ricerche online (Google), nei servizi retail (Amazon) e nei social media (Facebook, che ha da poco ricevuto una multa di 5 miliardi di dollari per il caso Cambridge Analytica) siano state commesse pratiche anti-competitive.
“Senza la disciplina di una significativa concorrenza basata sul mercato, le piattaforme digitali possono agire in modi che non rispondono alle richieste dei consumatori”, ha affermato in una nota l’assistente procuratore generale Makan Delrahim, a capo della divisione antitrust, chiarendo ulteriormente gli obiettivi.
Un approfondimento che, si rileva, potrebbe spingersi oltre i piani recenti pensati e realizzati per mettere nel mirino il settore tech, messi a punto dal dipartimento stesso e dalla Federal Trade Commission, entrambi i soggetti Usa che hanno autorità su materie antitrust.
L’INDAGINE DELLA CAMERA
Che qualcosa si stesse muovendo era chiaro già al principio del mese scorso, quando con una operazione senza precedenti, la commissione Giustizia della Camera statunitense, composta da membri bipartisan, aveva annunciato l’apertura di un’indagine sulla “concorrenza nel mercato digitale” che avrebbe interessato proprio i big della Silicon Valley.
Un cambio di rotta rispetto alle sintonie degli anni passati che per Maurizio Mensi – professore della Sna e della Luiss e responsabile del @LawLab dell’ateneo romano – evidenzia la volontà del mondo politico americano di riappropriarsi di una sovranità in parte perduta. Ma la vicenda, ha spiegato il docente in una conversazione con Formiche.net, fa emergere anche, in modo non marginale, la necessità Usa di affrontare meglio le sfide poste alla sicurezza nazionale dalla minaccia ibrida. “Credo che alla fine”, ha sottolineato Mensi, “si troverà il modo di adeguare e affinare le regole (non solo quelle antitrust) per fronteggiare le nuove sfide poste dal capitalismo delle piattaforme digitali, con il salto di qualità invocato”.
LE DIFFERENZE DA NON TRASCURARE
Al tempo stesso, ha evidenziato su queste colonne Stefano da Empoli, economista e presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com), “bisogna partire dall’assunto che le piattaforme online hanno caratteristiche diverse dalle altre imprese. Gli effetti di rete fanno sì che emergano piattaforme vincenti, selezionate dal mercato e dai consumatori. Chi si iscrive a Facebook, ad esempio, lo fa perché sa che può trovarci molti dei propri amici o conoscenti. Questa dinamica non può essere cambiata” da interventi esterni.
A detta dell’esperto, “è necessario ricordare alcuni elementi, ad esempio il fatto che queste imprese, questi mercati, sono altamente innovativi. Questo naturalmente non vuol dire che le istituzioni debbano rimanere passive. Tuttavia, prima di interventi”, ha aggiunto, soprattutto in relazione a eventuali azioni dell’antitrust, “occorrerebbe chiedersi se sia davvero insufficiente l’azione delle autorità di regolamentazione e delle altre istituzioni preposte”. E, in ogni caso, bisognerebbe intervenire “senza soffocare questa carica innovativa, che è la vera ricchezza delle economie digitali.