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Il welfare oggi è solido e resisterà alla crisi. Il salario minimo? Dipende dalla politica. Parola di Sacchi (Inapp)

“Oggi i lavoratori ‘protetti’ in caso di disoccupazione sono 2 milioni in più per un totale di 13 milioni e questo è dovuto alle riforme Fornero e del Jobs Act e se ci dovesse essere una nuova crisi – che nessuno si augura – il welfare italiano sarebbe pronto a reggere questa nuova onda d’urto”. E sul salario minimo? “La fattibilità dipende dalla volontà politica ma adesso il tema è diventato europeo, noi stimiamo che con 9 euro lorde il costo per le imprese sarebbe di 6,7 miliardi di euro”. Lo spiega in questa intervista a Formiche.net il professor Stefano Sacchi presidente dell’Inapp, l’Istituto nazionale sulle analisi politiche pubbliche (ex Isfol) che ha organizzato nell’ambito del Festival “Luci sul Lavoro” di Montepulciano un focus dal titolo Dieci anni di riforme del lavoro e del welfare. Siamo ancora il paese della flex-insecurity?”.

Cosa si vuole dimostrare?

Dieci anni fa l’avvio della Grande Recessione, poi seguita dalla crisi del debito sovrano del 2011, trovò il welfare italiano impreparato e inadeguato ad affrontare un problema di sostegno al reddito di portata epocale. Nei decenni precedenti le crisi occupazionali erano state affrontate con lo strumento della cassa integrazione, peraltro appannaggio dei soli settori forti del mercato del lavoro italiano. A fronte dell’introduzione di massicce dosi di flessibilità nel mercato del lavoro a partire dagli anni Novanta, gli investimenti in un sistema moderno di sussidi di disoccupazione erano stati risibili, e non era mai stata introdotta una rete di sicurezza per la generalità della popolazione, cioè uno schema di reddito minimo.

Sì, erano gli anni in cui si spingeva per un lavoro flessibile, che però ha creato precarietà…

In questa situazione, che all’epoca definimmo “flex-insecurity” anziché flexsecurity come in Danimarca o in Olanda si intervenne sul welfare italiano in condizioni di emergenza attraverso gli strumenti degli ammortizzatori in deroga, ma man mano che la crisi si estendeva i buchi della rete di protezione sociale si facevano sempre più larghi. Le due importanti riforme strutturali dell’ultimo decennio, la Fornero e il Jobs Act, hanno coniugato nuove dosi di flessibilità, ma questa volta con investimenti corposi nella protezione dei lavoratori, con risultati tangibili.

Ma non solo c’è stato anche il decreto dignità che è intervenuto a sostegno della precarietà, è una rivendicazione del ministro Di Maio…

Certamente, il decreto dignità ha corretto alcuni eccessi della liberalizzazione dei contratti a termine senza però stravolgere l’impianto della riforma Fornero e del Jobs Act, per quanto riguarda la liberalizzazione del contratto a tempo indeterminato. Al tempo stesso, è stato rafforzato l’investimento fatto nella costruzione di una rete di protezione avviata con il Reddito di inclusione, con l’introduzione del Reddito di cittadinanza.

Il completamento di questo percorso sarebbe il salario minimo orario. È fattibile per lei?

Noi abbiamo elaborato uno studio dove dimostriamo che i lavoratori beneficiari dell’introduzione di un salario minimo legale a 9 euro orari sarebbero circa 2,6 milioni. Di questi, circa 1,9 milioni di lavoratori a tempo pieno (il 18,4% del totale dei dipendenti a tempo pieno) per un costo di 5,2 miliardi, e circa 680mila lavoratori a tempo parziale (il 29% del totale dei dipendenti part-time) per un costo di 1,5 miliardi. Il costo totale per le imprese sarebbe di 6,7 miliardi di euro. La fattibilità dipende dalla volontà politica ma adesso vedo che il tema è diventato europeo e non solo italiano dopo la dichiarazione della designata presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen

Eppure ci sono molte crisi aziendali aperte, il lavoro è sempre al centro del dibattito. Come se ne esce?

Guardi quello che posso dire è che Il lungo ciclo di riforme del lavoro e del welfare dell’ultimo decennio ha consegnato all’Italia un mercato del lavoro più flessibile, con luci ed ombre non c’è dubbio, ma nel quale i lavoratori sono certamente più protetti che in passato”.

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